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Ossa alla Nunziatura, sarebbe corpo di donna da esame del bacino

31 ottobre 2018 | 18:44
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Ossa alla Nunziatura, sarebbe corpo di donna da esame del bacino

Trovati dei resti in un seminterrato della sede della Nunziatura durante lavori di ristrutturazione. Gli inquirenti puntano a verificare se le ossa possano essere compatibili con quelle di Emanuela Orlandi ma anche di Mirella Gregori, entrambe scomparse a Roma nel 1983. La Procura procede per omicidio

REGGIO EMILIA – Emanuela Orlandi e Mirella Gregori o nessuna delle due? Potrebbero appartenere a due persone differenti le ossa ritrovate in un edificio adiacente al Palazzo della Nunziatura vaticana. Si stanno eseguendo comparazioni, concentrate in particolare sul cranio e sui denti, per verificare se i resti rinvenuti siano quelli di Emanuela Orlandi o di Mirella Gregori, entrambe scomparse nel 1983.

Durante i lavori di rifacimento del pavimento gli operai avrebbero ritrovato uno scheletro quasi intero e, in un altro punto, altri frammenti di ossa. Allo stato attuale non è ancora certo a che epoca risalgano i resti. E questo sarebbe il primo elemento dirimente per capire se le ossa possa essere di Emanuela Orlandi (dovrebbero risalire agli anni ’80).

“Stavamo scavando, avevamo tolto il pavimento, poi abbiamo visto le ossa e abbiamo dato subito l’allarme”. Questo il racconto agli investigatori fatto dai 4 operai che stavano lavorando nel seminterrato di una dependance della Nunziatura dove sono state rinvenute le ossa. Un primo esame delle ossa trovate, su cui si sta indagando, confermerebbe, secondo quanto apprende l’Ansa, che si tratterebbe di un corpo di donna. L’evidenza emergerebbe dall’esame delle ossa del bacino.

“Chiederemo alla Procura di Roma e alla Santa Sede in che modalità sono state trovate le ossa e come mai il loro ritrovamento sia stato messo in relazione con la scomparsa di Emanuela Orlandi o Mirella Gregori”, ha detto Laura Sgrò, legale della famiglia Orlandi. “C’è una attività istruttoria in corso e contiamo di avere notizie più dettagliate nei prossimi giorni”, ha riferito l’avvocato che ha accompagnato Pietro Orlandi in Procura.

“Non voglio illudermi, voglio restare con i piedi per terra ma in cuor mio spero che quelle ossa siano di Mirella così si potrebbe mettere una parola fine a questa vicenda e io avrei un luogo dove andare a piangere e portare un fiore a mia sorella”. Lo ha detto all’Ansa, Maria Antonietta Gregori, sorella della ragazza scomparsa nel 1983, in relazione al ritrovamento di alcune ossa nella Nunziatura Apostolica. “Gli inquirenti hanno il nostro Dna – aggiunge la donna -. Lo hanno prelevato quando furono fatte verifiche su alcune ossa rinvenute nella basilica di Sant’Apollinare”. La sorella di Mirella Gregori auspica che “su questa vicenda si faccia luce: voglio capire perché si è pensato subito a mia sorella ed Emanuela Orlandi nelle ore successive al ritrovamento”.

Se si riuscirà ad estrarre il Dna dai resti basteranno 7-10 giorni per capire se sono effettivamente quelli di Emanuela Orlandi. Lo afferma Giovanni Arcudi, direttore della Medicina Legale dell’università Tor Vergata di Roma, secondo cui altrimenti gli esami potrebbero richiedere tempi più lunghi. “L’estrazione del Dna e le analisi conseguenti, come il confronto con quello della persona a cui si sospetta appartengano i resti o i familiari, non richiedono molto tempo, si possono fare in 7-10 giorni – spiega l’esperto -. Non sempre però si riesce a ricavare del materiale genetico utilizzabile, dipende sempre da come sono conservati i resti, e anche da che tipo di ossa abbiamo. Dai denti ad esempio si ricava bene, e anche dalle vertebre, ma ad esempio la conservazione in luogo asciutto o umido ha una grande influenza sulla possibilità di estrarre un Dna ‘pulito'”.

In assenza del Dna, spiega Arcudi, si ricorre agli esami sulle ossa. “Questi richiedono più tempo, ogni singolo frammento viene valutato e misurato. Potenzialmente anche da questi esami si può sapere molto, dall’età alla statura al sesso, oltre alla presenza di lesioni ossee che possono essere confrontate con quelle della persona sospettata. Dalla degradazione dell’osso si può anche stimare da quanto tempo i resti si trovavano nel luogo del ritrovamento, con una approssimazione di almeno 10-20 anni”.