Don Artoni alla Beretti: “Stia lontana da finestre ufficio, me lo ha detto un imputato di Aemilia”

25 settembre 2018 | 14:01
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Don Artoni alla Beretti: “Stia lontana da finestre ufficio, me lo ha detto un imputato di Aemilia”

Secondo l’accusa il sacerdote avrebbe fatto pressioni, insieme a Ruffini, sul presidente del tribunale e giudice del processo alla ‘ndrangheta, per “ottenere il dissequestro” dei beni in seguito alla maxi evasione. “Sanno dove studia suo figlio”

REGGIO EMILIA – “Sa che a Reggio Emilia c’è un braccio speciale dove sono detenuti gli imputati di Aemilia? Uno di loro mi ha detto di venire da lei e di dirle di stare molto attenta e soprattutto di stare lontana dalle finestre dell’ufficio (…) un altro di loro ha detto di stare attenta che sanno dove studia suo figlio”. Questo è uno dei passaggi contenuti nell’ordinanza del Gip del tribunale di Ancona che ha disposto l’arresto ai domiciliari di don Ercole Artoni e il carcere per Aldo Ruffini, 74 anni, accusato di una maxi evasione fiscale.

La conversazione sarebbe avvenuta il 18 dicembre 2017 nell’ufficio del giudice Cristina Beretti, presidente del tribunale di Reggio Emilia e componente del collegio del processo di ‘ndrangheta Aemilia a carico proprio del clan Grande-Aracri. Il sacerdote era andato là con il pretesto di farle gli auguri di Natale. Il prete le avrebbe fatto intendere di essere a conoscenza delle minacce, in quanto volontario spirituale all’interno del carcere.

Il sacerdote avrebbe poi aggiunto: “Dicono che lei nel collegio di Aemilia ha molta influenza sugli altri giudici e che praticamente decide lei e in più per le cose che ha fatto in passato”.

Secondo l’accusa il sacerdote, 88 anni, fondatore a Reggio Emilia del Centro sociale Papa Giovanni XXIII, in concorso col commerciante Aldo Ruffini a cui erano stati sequestrati i beni per una vicenda di evasione fiscale, avrebbe fatto giungere minacce anche di morte al magistrato “al fine di impedire e turbare in tutto o in parte la regolarità dell’attività processuale e ottenere il dissequestro o l’assoluzione”.

Ruffini, invece, attorno al 27 gennaio 2018, è accusato di essere andato in un bar vicino alla casa del giudice, locale frequentato da lei quotidianamente, e di aver chiesto al gestore notizie sul magistrato. Ai due indagati è contestata anche l’aggravante di aver fatto le minacce valendosi della forza intimidatrice derivante dalla segreta associazione esistente o comunque supposta in quanto facevano riferimento agli associati della ‘ndrangheta cui fanno a capo i Grande Aracri, processati in Aemilia, processo presieduto anche da Beretti.

Secondo il gip il Ruffini è un personaggio “interessato ad ottenere con metodi illeciti, la liberazione del suo ingente patrimonio da vincoli reali”. Mentre l’Artoni, “nonostante sia un religioso ed evidentemente ricevendone un ritorno economico si presta ad assecondare in tutti i modi le richieste del Ruffini”. Il risultato delle loro attività “è una sicura intimidazione della Beretti – osserva il gip di Ancona – minacciata persino con riguardo alla incolumità propria ed a quella del figlio”.

Sulla vicenda interviene anche il vescovo di Reggio Emilia-Guastalla Massimo Camisasca che “è certo che le prossime ore permetteranno una maggiore chiarezza circa l’accaduto così da potere esprimere un giudizio più adeguato e approfondito.
Auspica che la vicenda si possa risolvere al più presto”.