Taglierè, qualità a prezzi accessibili

27 agosto 2018 | 06:24
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Taglierè, qualità a prezzi accessibili

In Corso Garibaldi un locale da 30 coperti gestito dagli imprenditori Simone Ferrari e Dario Donelli. Lo chef Leonardo Panza: “Cerco di togliere, piuttosto che di aggiungere. Apprezzo i sapori netti e definiti”

REGGIO EMILIA – Dare a tutti la possibilità di mangiare bene, con una cucina “pulita”, comprensibile, senza azzardi, con pochi elementi nel piatto e sapori netti e definiti. È la filosofia di Leonardo Panza, chef mantovano che a 31 anni, nel suo diario di vita e di cucina, ha già scritto tanti capitoli diversi. Dall’insegnamento appassionato e severo del padre alla formazione nella “prima” Alma di Marchesi, alla decisione di chiudere il ristorante di famiglia per aprirne uno proprio, reso inagibile dopo poco dal terremoto che colpì l’Emilia nel 2012, all’esperienza come executive chef in un lussuoso ristorante italiano a Praga. L’ultima tappa di Panza è a Reggio Emilia. Da gennaio 2018 è da Taglierè, un locale da 30 coperti gestito dagli imprenditori Simone Ferrari e Dario Donelli.

“Frequentavo la cucina di mio padre al ristorante La Cinciana di Mantova da quando avevo 6 anni” racconta lo chef. “A 11 anni svolgevo già diverse mansioni: dal garzone al “vice cuoco”, nei limiti di ciò che potevo fare, naturalmente. La basi le ho imparate tutte da lui che fino ad oggi è stato il maestro più severo che ho avuto. Proprio da lì, da quella cucina tradizionale mantovana, viene la mia impostazione di cucina classica, che poi ho imparato a rivisitare grazie agli studi, e a contaminare con altri ingredienti”.

L’approdo alla Scuola Internazionale di Cucina Italiana, l’Alma di Colorno, fondata dal compianto Gualtiero Marchesi, non è stato immediato. Nel mezzo, ci sono stati diversi stage nel mantovano e due stagioni come capo partita al Le Beau Rivage in Corsica. “Oggi mi reputo molto fortunato” racconta “perché nel 2009, quando iniziai a frequentarla, Alma era nata da poco ed era ancora una piccola realtà con classi da 20 allievi (contro gli 80 di oggi), attentamente selezionati. Alcuni anni dopo vi tornai come assistent chef nelle dimostrazioni di cucina. La trovai molto cambiata, soprattutto per i grandi numeri di allievi e insegnanti che contava, era diventata a impostazione quasi ‘industriale’. Tuttavia, fu un modo per rivedermi con occhi diversi anni dopo, ma soprattutto per rispolverare fondamentali e dettagli”. Lo stage da diplomando, Panza lo svolse a L’Arsenale, allora stellato Michelin, sotto la guida di Fabio Granata, prima che questi si trasferisse a Singapore.

“Sempre nel 2009 presi le redini del ristorante di famiglia” prosegue Panza “e due anni dopo entrammo nella guida ristoranti de Il Sole 24 Ore. Mantenni la direzione classica della cucina di mio padre, rivisitandola però in modo fresco, col senno del giovane cuoco che in parte metteva in pratica ciò che aveva imparato e in parte si lasciava andare all’ispirazione del momento. In pratica rivoluzionai il menù tradizionale, modernizzandolo e alleggerendolo. Ma poi – da giovane qual ero – presi una decisione che non mi portò fortuna”.

E racconta: “Decisi di chiudere il ristorante di famiglia. Era il 2012 e desideravo impormi con un locale e uno stile miei. Investii molto denaro per aprire il L’eonardo” ricorda.“Era nel Palazzo della Ragione di Mantova, in pieno centro storico, in un’atmosfera tra il romantico e l’antico. Non feci in tempo a dimostrare quasi nulla, perché il terribile terremoto dell’Emilia del 2012 colpì anche noi. Il Palazzo era sotto la protezione dei Beni culturali, che tolse l’agibilità ai locali. Fui costretto a svendere – nel vero senso della parola – tutto il mobilio. Andò tutto in fumo, ristorante e sogni”. Panza andò avanti grazie a consulenze professionali, stagioni estive (al ristorante Gourmet Resort di S. Teodoro in Sardegna), lezioni in Alma, e la gestione del ristorante del Paradise Resort & Spa a San Teodoro.

Poi arrivò una svolta. “Mi assunsero come executive chef al lussuoso ristorante italiano Hostaria Manesova 78, nel cuore di Praga. Lavorare in una metropoli, in un ristorante aperto dalle 11 di mattina all’1 di notte, con l’accesso a ogni tipo di ingrediente, anche alcuni che non avevo mai utilizzato prima, fu una vera occasione per esprimermi la massimo. Mi trovai improvvisamente a gestire 30 dipendenti, fornitori, candidati, assunzioni e ovviamente la cucina. Fu una vera palestra”. All’Hostaria Manesova 78, Panza iniziò a contaminare la cucina italiana con gli ingredienti cechi che man mano conosceva.

“Presi a sperimentare, studiare, cercare di capire cosa desideravano i miei clienti senza ancora saperlo” racconta. “Presentai ‘Il viaggio della tartare’, una verticale in quattro preparazioni che passava dagli Stati Uniti al Giappone, attraverso l’Italia e la Repubblica Ceca. In un unico piatto stretto e lungo si cominciava dagli States con una tartare in un minipanino da hamburger con burro di arachidi e salsa piccante, entrambe preparate da noi. A rappresentare l’Italia era una battuta di Fassona piemontese condita con olio toscano e limoni di costiera e colorata con julienne di verdure che simulavano il pinzimonio. Per la Repubblica Ceca” continua “pensai a carne a km zero proveniente da una fattoria delle prime campagne di Praga con salsa tartara alla loro maniera, salsa d’uovo e verdure in agrodolce.

Infine, a rappresentare il Giappone era un tataki di carne fatto scottare su una piastra ardente e poi messa in acqua e ghiaccio e servito su foglia d’ostrica”. Sul fronte del pesce, una creazione fortunata fu un’altra verticale, questa volta di tonno. “Il sashimi di tonno” riferisce Panza “era un piatto con nove pezzi di tonno leggermente affumicati, tagliati a coltello, in cui si percepivano, ovunque, tante influenze diverse: dal taglio giapponese al tonno crudo all’italiana, a quello condito con bietola, agrumi, lemongrass, lamponi e via dicendo. Fidelizzò molti clienti”.

Passare dalla carne al pesce alle verdure, ma sempre all’interno di una cucina comprensibile. È il bagaglio che Panza ha portato in Italia terminata l’esperienza a Praga. “Non amo l’idea di fossilizzarmi su un filone” precisa. “Per me è fondamentale concentrarmi essenzialmente sulle tecniche per la lavorazione degli ingredienti, dal più nobile al più povero (che poi è quello che preferisco). Prendiamo ad esempio l’erbazzone reggiano. Mi piace presentarlo scomposto, ma sempre fedele alla tradizione. Così diventa una doppia cialda di pasta sfoglia salata con all’interno il pesto classico dell’erbazzone. Non inseriamo elementi nuovi, ma li ‘giriamo’, mantenendo lo stesso sapore e rendendo il prodotto più leggero e digeribile”. Come in altre preparazioni firmate Panza, il sale è ridotto al minimo: “Cerco di togliere, piuttosto che di aggiungere” sottolinea “apprezzo i sapori netti e definiti, un piatto con pochi elementi, ma tutti altamente selezionai. Mi ispiro alla cucina di Niko Romito, che in carta ha le tagliatelle cacio e pepe o la zuppa di pomodoro con verdure di stagione da Spazio”.

Leonardo Panza

Tagliere

“Sento fortissimamente il legame con il territorio” aggiunge. “Alcuni piatti mi piace ‘sbagliarli’ apposta. Il polpo alla brace che ho in carta al Taglierè, per esempio, è overcooking, ha una cottura lunghissima. Poi viene raffreddato e cotto alla brace. Il risultato è un polpo che risulta croccante fuori e quasi burroso dentro”. E prosegue: “Questo contaminare tutto con tutto non lo capisco. Apprezzo piuttosto chef come Cannavacciuolo, che premia la materia prima. Considero più ‘marchesiano’ lui di tanti altri anche suoi ex allievi”. Panza invece? Come si pone rispetto a certe istanze? “Personalmente vado a periodi. Mi lascio ispirare da ciò che mi sta intorno. Non mi servono viaggi lontani o esperienze inaspettate, mi basta farmi trasportare dal tempo, dall’umore, da ciò che vedo o che sento. Artista in cucina? Sì, ma con un grado di scienza che consiste nell’accostare senza esagerare, con libertà”.

Questa idea si sposa bene con l’obiettivo di essere accessibili a tutti. “Chi dice che per mangiare bene bisogna spendere almeno 80 euro?” si chiede Panza. “Il mio approccio è più easy. Vado al macello e mi scelgo la bestia intera. La compro tutta e man mano la utilizzo nelle preparazioni, nei tagli, nei piatti. La forza del Taglierè è anche questa: un concetto semplice”. Facile nei prezzi come nello spirito: “Vuoi una selezione di salumi o formaggi? Te la servo a prezzi competitivi con una qualità alta. Desideri assaggiare un solo gambero rosso di Sicilia? Eccolo servito, magari ‘intrappolato’ in una fetta di prosciutto di Parma stagionato oltre 30 mesi e messo sulla brace pochi secondi. Ogni ingrediente qui ha un suo peso” continua “anche l’olio, il sale (sono sempre alla ricerca di quello migliore) e il pepe (quello nero di cayenna)”. Riguardo la materia prima, sulla carne il ristorante gioca facile, potendo contare su suini neri di Parma e vacche di razza Chianina allevati allo stato brado dell’azienda agricola del padre di uno dei due soci, Simone Ferrari. Sono queste carni che, spesso, forniscono la materia prima per i salumi selezionati da Taglierè.

La forza del locale è rappresentata anzitutto dalla proposta di salumi e formaggi (e così si comprende anche il suo nome). La selezione di salumi, con molti presidi Slow Food, resta fedelmente nella zona e va dal culatello al crudo di Parma, alla spalla cotta tagliata a coltello, alla spalla cruda di Palasone, al salame Mariola, alla coppa piacentina, alla pancetta nostrana. Il Parmigiano Reggiano è quello prodotto con latte delle Vacche Rosse (Reggio Emilia), della Bruna Alpina (Parma) e della Bianca Modenese, stagionati dai 24 fino ai 100 mesi. Chiude il cerchio la degustazione di formaggi erborinati di mucca, capra e pecora, selezionati “secondo il tempo e le stagioni”, con affinamento firmato De Magi.

Panza è aiutato dal suo secondo, Simone Soldi, 21 anni, mentre in sala ci sono Angelo Principe e Danilo Musardo. Quest’ultimo, sommelier del locale, guida nella scelta tra i circa 80 vini in carta. Per ora. Perché il 21 settembre Tagliarè si rinnoverà: restyling del logo, restauro della facciata, ampliamento dei locali e della cantina, negli spazi adiacenti al ristorante, che ospiteranno anche degustazioni speciali ad accompagnare un programma di eventi dedicato alla fusione tra cucina e arti. E nel futuro, Panza cosa vede? “Uno stage in Giappone o in Francia. L’importante è conoscere il più possibile. Continuare a imparare. Ma senza dimenticare mai le proprie radici” (articolo apparso sul Gambero Rosso online).