Nevicati, l’antifascista reggiano che trovò la morte in Spagna

25 agosto 2018 | 07:39
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Nevicati, l’antifascista reggiano che trovò la morte in Spagna

“Il più pericoloso sovversivo rosso delle province emiliane” fu bandito da Poviglio e fuggì a Parigi. Poi combattè con le brigate internazionali

REGGIO EMILIA – Nei primi giorni dell’agosto del 1922, 96 anni fa, a Parma la violenza fascista si scatena in tutta la sua brutalità. Dopo mesi di scorrerie in lungo e in largo per la pianura padana, dopo aver rovesciato con la forza le amministrazioni comunali, dopo una lunga serie di pestaggi e omicidi di avversari politici – con la complicità, più o meno esplicita, delle forze dell’ordine – gli squadristi, capeggiati da Italo Balbo, tentano l’assedio della città ducale con l’obiettivo di fare cessare lo sciopero, indetto a livello nazionale qualche giorno prima dall’Alleanza del Lavoro, ma anche di mettere a ferro e fuoco i quartieri popolari, da tempo noti per il loro ribellismo e sovversivismo.

I piani di Balbo, però, si infrangono contro la resistenza della popolazione dell’Oltretorrente e dei quartieri Naviglio e Saffi, che innalza barricate e scava trincee, costringendo i fascisti a una lotta strada per strada che vedrà le squadracce, dopo cinque giorni di combattimenti, sconfitte. Protagonisti della vittoria sono gli Arditi del popolo – capeggiati dal parmense Guido Picelli – gruppo paramilitare composto da combattenti politicamente eterogenei, fra le prime organizzazioni apertamente antifasciste presenti in Italia.

Fin qui, la storia dei “fatti di Parma” è nota. Ciò che è forse meno noto sono gli otto, secondo i più recenti studi di William Gambetta, reggiani a fianco di Picelli sulle barricate: Roberto Bomezzadri di Poviglio, Afro Gaioni di Novellara, Angelo Massoni di Montecchio, Antonio Rosi di Gattatico, Celso e Stefano Rovacchi di Reggio, Isidoro Zanichelli di Castelnuovo di Sotto. L’ottavo, forse più celebre, è Fortunato Nevicati.

La vita di Nevicati
La vita di Nevicati, racchiusa in un breve volgere di anni, travagliata e avventurosa, segnata dalle sofferenze, dalle persecuzioni, dalle lotte e dalla morte in terra straniera, potrebbe lasciare spazio per una dilatazione mitica del personaggio, per accentuazioni di stampo romanzesco. Il realtà, le notizie che di lui si hanno, per quanto scarne e frammentate, fondate in massima parte su testimonianze orali e sui ricordi di quanti lo conobbero, se non consentono una ricostruzione esauriente della sua vicenda, restituiscono l’immagine di un uomo determinato e schivo, lucidamente consapevole delle ragioni storiche ed ideali del proprio agire.

Nevicati, secondo un settimanale fascista reggiano, nel 1922 è «il più pericolo sovversivo rosso delle province emiliane»; nato a Collecchio nel 1895, viene adottato da una famiglia di Poviglio ed è qui, nelle campagne reggiane che, una volta tornato dalla Grande guerra, inizia la propria attività politica.

Fra il 1919 e il 1920 è infatti fra gli organizzatori degli imponenti scioperi agrari – lottando per le rivendicazioni di braccianti e mezzadri – che incendiano la pianura; viene per questo arrestato, il primo arresto di una lunga serie, e sconta qualche giorno di prigione.

Nel 1920 diviene poi segretario della locale cooperativa di consumo e della Congregazione di Carità; date le spiccate doti amministrative, nello stesso anno è eletto anche consigliere provinciale con il Partito socialista. É questo, per Nevicati, un periodo di intense e svariate attività, mentre in Italia tramonta la democrazia nell’abisso della dittatura. Contemporaneamente al lavoro di amministratore, Nevicati prosegue l’opera di dirigente politico, dando vita, a Poviglio, a un nucleo di militanti fortemente orientati alla rottura con il PSI, considerato troppo “morbido” in un tempo di dura battaglia politica.

È però ormai riconosciuto come un «delinquente rosso» dalle forze dell’ordine; è fra i fondatori, infatti, a Reggio Emilia, del Partito comunista d’Italia nel 1921 e già in quell’anno sono innumerevoli le minacce di morte nei suoi confronti espresse da «All’armi!», il giornale fascista reggiano. Con le squadracce si scontra più volte, colpendo duramente e riuscendo sempre a dileguarsi, coperto spesso dalla popolazione.

Il 5 settembre 1921 si dimette dal consiglio provinciale. La via della latitanza è ormai segnata. Ha comunque il coraggio di denunciare, in aula, un’ultima volta, la violenza fascista che imperversa fra Poviglio, Castelnuovo Sotto e Campegine; fa presente che è costretto ad allontanarsi dal suo paese natale, dove risiede la madre malata, e dove avrebbe bisogno di rimanere per guadagnarsi da vivere, per le continue perquisizioni a suo carico, per le imposizioni arbitrarie nei suoi confronti fatte dai fascisti con il beneplacito dei carabinieri. Lamenta, un’ultima volta, quanto le autorità non muovano un dito contro le prepotenze delle squadracce.

Bandito da Poviglio, nell’agosto del 1922, come si accennava, è a Parma – città che conosce bene e in cui il fratello Nunzio gestisce una trattoria – a fianco di Picelli negli Arditi del popolo. Non è un combattente antifascista qualunque: vista l’esperienza militare maturata al fronte nella Grande guerra, ha ruoli di grande responsabilità. L’anno successivo viene definito addirittura «fiduciario» di Picelli; nel marzo del 1923 è con il deputato parmense quando, uscendo da un’osteria, vengono aggrediti dai fascisti riuscendo a mettersi poi rocambolescamente in fuga; nel maggio dello stesso anno, secondo il Prefetto di Parma, Nevicati parte per Milano per «coadiuvare» Picelli nell’organizzazione di un movimento rivoluzionario antifascista nel capoluogo lombardo.

Una vita, ormai, da «ribelle» di professione, dunque, anche se il suo mestiere è in realtà il tipografo: nel gennaio del 1923 viene arrestato una seconda volta per attività sovversiva e, rilasciato, fugge a Sondrio, dove trova impiego proprio in una tipografia. Anche qui lo raggiunge la persecuzione fascista. È accusato di essere il mandate dell’attentato alla vita dell’on. Bigliardi, nella bassa reggiana. Avvertito dal fratello Nunzio che gli squadristi sono sulle sue tracce, espatria in Francia alla fine del 1923.

Inizia, a 28 anni, una vita stentata e precaria da esule, un duro periodo di continui spostamenti, di città in città. Si stabilisce infine a Parigi, dove diventa uno dei promotori dei gruppi di italiani esiliati e anima due grandi manifestazioni, una delle quali alla Gare de Lyon in occasione della visita nella capitale francese del generale De Bono. Nel 1928, per queste sue attività, è espulso dalla Francia. Si trasferisce allora a Bruxelles ma anche dal Belgio viene espulso, nel 1931. Ritorna a Parigi e per cinque lunghi anni vive nella completa clandestinità fino a che, nel 1936, si apre in terra di Spagna il primo grande scontro armato contro le forze fasciste di Francisco Franco. “Fortuné”, come lo chiamano gli amici francesi, non può mancare all’appello del popolo spagnolo in lotta per la libertà. L’arrivo in Spagna di Nevicati si può verosimilmente far risalire al 14 ottobre 1936, con il primo contingente delle Brigate Internazionali. La base di Albacete, dove si ritrovano i volontari, ha come ispettore generale Luigi Longo, Gallo, e come commissario politico Giuseppe Di Vittorio, Nicoletti.

La morte in Spagna
A Madrid, poco più di un mese e mezzo dopo, troverà la morte a 41 anni combattendo con le Brigate Garibaldi durante l’attacco per la presa della casina rossa. È lo stesso Longo, nei propri ricordi, a descriverci gli ultimi istanti della vita di Nevicati: “Si avanza carponi, senza difficoltà, tra gli alberi. Il fuoco di tutta la linea protegge il nostro fianco destro. Ad un segnale tutti gli attaccanti balzano in avanti, percorrono di slancio i pochi metri dello spiazzo che ci separa dall’edificio, sparano nelle finestre, gettano bombe a mano al di sopra dei tetti per farle cadere all’interno della casa. Il più difficile pare fatto; si crede già di avere il successo assicurato. Illusione di un istante. Il nemico reagisce improvvisamente all’attacco e con violenza inaudita. Le pallottole fischiano da tutte le parti e le bombe a mano piovono come la grandine. Non riusciamo a capire da dove i fascisti tirano; forse dalle fessure delle persiane chiuse, forse da un breve spazio che separa il tetto dal muro che lo regge, forse dal cortile stesso della casa, lanciando le bombe al di sopra delle tegole. I garibaldini, sorpresi dalla violenta reazione nemica, lasciano lo spiazzo, si buttano bocconi lungo la scarpata. La vanità dell’attacco risulta evidente. La “casina rossa” è lì davanti a noi, chiusa e impenetrabile come una fortezza, che schizza piombo da tutte le parti e contro i cui muri rimbalzano vanamente i nostri colpi di fucile e le nostre bombe a mano. Al mio fianco, già irrigidito dalla morte, con un foro proprio in mezzo alla fronte, giace Nevicati. Ne prendo il fucile e le munizioni, comincio anche io a fare fuoco contro le finestre”. Sono le cinque della sera del 23 novembre 1936.

Una lapide, a lui dedicata dall’Amministrazione provinciale di Reggio nel 1965, ricorda come «nell’ora cupa della tirannide» Nevicati «sfidando persecuzioni e minacce alzò la sua voce a difesa delle istituzioni democratiche», testimoniando i «valori imperituri della libertà».