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“Fascismo latente e banalizzazione del pensiero, come combatterlo”

28 luglio 2018 | 11:10
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“Fascismo latente e banalizzazione del pensiero, come combatterlo”

Il vicesindaco Matteo Sassi nel giorno del ricordo dell’eccidio delle Reggiane: “Dove arretra la democrazia avanza il lato oscuro dell’umanità dove violenza, machismo, intolleranza e prevaricazione divengono vissuti normali, degni al pari di altri”

REGGIO EMILIA Il 75esimo Anniversario dell’Eccidio delle Reggiane è occasione di riflessione politica sulle radici culturali del fascismo. Parlo di fascismo senza riferirmi, in modo esclusivo, alla storia del fascismo italiano ma, come scrisse Umberto Eco, al fenomeno del “fascismo eterno” o che potremmo chiamare anche “latente”.

È possibile individuare nel fascismo, a cominciare da quello italiano, una serie di connotati e caratteristiche “senza tempo” che ne fanno una pericolosa espressione antropologica e culturale prima ancora che politica. In altri termini, potremmo dire che il fascismo è manifestazione dell’umano e, per questo motivo, non solo può sempre tornare (seppur in forme storiche inedite) ma forse non è mai scomparso del tutto.

La nostalgia del passato
Parlo di tendenze e caratteristiche insite nel corpo sociale e, fra queste, ve ne sono tre che si consolidano e strutturano sempre più nel nostro tempo e nella nostra società. La prima è la nostalgia del passato che cela una vera e propria mitizzazione della tradizione. È difficile non incontrare qualcuno che non si riferisca al passato in modo nostalgico e idealizzato. Si può obiettare che questo sia un atteggiamento tipico di età non più giovanissime; in realtà, per quella che è la mia esperienza, si tratta di un approccio piuttosto trasversale all’età e dunque ai vissuti. Credo pertanto si possa parlare di una tendenza culturale, profonda e trasversale, che segna il rapporto delle persone col tempo in modo tutt’altro che neutro e asettico.

La difesa della tradizione non è soltanto, scolasticamente, il contrario del “progressismo di sinistra” ma è, innanzitutto, la chiusura mentale verso ogni elemento di innovazione frutto dell’ingegno umano e dunque della razionalità. Poco conta se questo approccio finisce per negare o sminuire straordinarie conquiste civili, sociali e democratiche; a cominciare dal sensibile incremento della speranza di vita. Come dire, si stava meglio nel passato anche se si moriva frequentemente di parto o per una banale infezione.

Il richiamo alle classi medie frustrate
Una seconda caratteristica del “fascismo eterno” è il continuo richiamo alle classi medie frustrate. Nessuna fase storica meglio di quella attuale, almeno negli ultimi cinquant’anni, è stata maggiormente propizia per chiunque volesse fare leva su questo aspetto. L’ossessione nei confronti dei migranti, segnatamente dei richiedenti asilo, è funzionale ad una loro rappresentazione quale minaccia verso chi si sente (spesso a ragione) impoverito dalla globalizzazione. I gruppi sociali subalterni e diseredati che premono verso coloro che sono situati più in alto nella scala sociale; questa è l’immagine propagandata dal “fascismo latente”. Ancora una volta, poco importa che la lettura razionale di questi fenomeni ci dica che nulla viene tolto agli italiani, sul piano occupazionale, dall’accoglienza dei migranti collocandosi quest’ultimi in segmenti del mercato del lavoro completamente abbandonati. Va in scena la rappresentazione di un inesistente assedio che fomenta xenofobia e razzismo; passioni negative che costituiscono da sempre un elemento cruciale di ogni mood fascista.

L’impoverimento del linguaggio e la banalizzazione del pensiero
La terza caratteristica del “fascismo latente” è l’impoverimento del linguaggio con la conseguente banalizzazione del pensiero. L’obiettivo è quello di estirpare alla radice ogni ragionamento sociale complesso, riflessivo e critico. Nuovamente, la nostra epoca risulta essere particolarmente feconda nell’allevare questa tendenza grazie all’egemonia comunicativa dei social media quali facebook, twitter o instagram. Poche decine di caratteri e qualche immagine per esprimere ogni concetto, per riassumere ogni ragionamento o stato d’animo.

Come combatterlo
A questo punto, assodato che il fascismo latente non è riconducibile unicamente alle sue manifestazioni più grezze e volgari – il ministro Salvini per intenderci -, è doveroso chiedersi cosa possiamo fare per combatterne l’espansione e il radicamento in larga parte del corpo sociale. Possono esserci più risposte che, tuttavia, devono muovere, a mio parere, da un comune e profondo convincimento: la pratica democratica quale principale antidoto ad ogni forma di fascismo. Si potrebbe obiettare che anche i regimi fascisti possono godere di un ampio consenso popolare e, di conseguenza, democratico.

Ritengo che a questa concezione della democrazia, procedurale e residuale, si debba contrapporre un’idea di democrazia inscindibile e inseparabile da un corpo di valori sostanziali. Mi riferisco a quei principi che storicamente hanno rappresentato il basamento di ogni costruzione autenticamente democratica: libertà, eguaglianza, tolleranza e giustizia sociale. Sono valori figli di un pensiero forte e potente che, nel volgere di un soffio della storia dell’uomo, hanno enormemente elevato le condizioni materiali e immateriali di vita dell’umanità.

Se oggi, al contrario, appaiono il prodotto di un pensiero debole e screditato è perché abbiamo smesso di pensare alla politica democratica quale strumento di emancipazione dell’uomo. Dove arretra la democrazia avanza il fascismo latente, ovvero il lato oscuro dell’umanità dove violenza, machismo, intolleranza e prevaricazione divengono vissuti normali, degni al pari di altri.

Settantacinque anni fa nove operai – otto uomini e una donna incinta – morirono per affermare il valore della pace e della partecipazione popolare; il fascismo allora non era affatto latente bensì imperante da un ventennio. A ben vedere, il compito che oggi attende ogni buon democratico è di gran lunga meno rischioso e più semplice di quanto non fu per le migliaia di persone ed operai che, il 28 luglio 1943, segnarono l’inizio della rinascita democratica del nostro Paese.