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Aemilia, la difesa di Sarcone: “Cutresi erano discriminati”

3 luglio 2018 | 15:58
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Aemilia, la difesa di Sarcone: “Cutresi erano discriminati”

L’avvocato Vezzadini: “Nessuna strategia antinterdittive e patto politico. Gianluigi Sarcone? Coinvolto solo perché fratello”

REGGIO EMILIA – E’ scontro nel processo Aemilia sulla cosiddetta “questione calabrese”, cioe’ la discriminazione della comunita’ originaria di Cutro residente a Reggio Emilia, che dal 2012 veniva accostata senza distinguo alla ‘ndrangheta. Una tesi che secondo i pubblici ministeri sarebbe stata portata avanti dagli esponenti della filiale emiliana della cosca Grande Aracri, come parte di una strategia mediatica contro le interdittive della Prefettura che (insieme ad altri provvedimenti come il ritiro di porto d’armi) fioccavano in quel periodo.

Per l’avvocato Stefano Vezzadini, difensore di Gianluigi Sarcone, era invece un peso concreto che i calabresi avvertivano su di se’ al punto che, vedendosi minacciati nei propri interessi economici (principalmente edilizi), si sarebbero risolti a denunciarlo pubblicamente sulla stampa. Spingendosi poi a contattare anche dei legali – come Giuseppe Pagliani, condannato in appello nel rito abbreviato ed esponente del Pdl – e altri, per risolvere le situazioni in cui i provvedimenti prefettizi li avevano cacciati. Il contesto (nel quale vanno inquadrati anche l’incontro ‘pre cena’ del 2 marzo 2012 tra alcuni imprenditori in un ufficio dei fratelli Sarcone e la “cena delle beffe” al ristorante Antichi Sapori del 21 marzo a cui partecipo’ anche Pagliani) escluderebbe inoltre secondo Vezzadini l’esistenza del patto politico-mafioso teorizzato dalla Dda.

Per dimostrare che le “indebite e indiscriminate generalizzazzioni” nei confronti dei cutresi esistevano davvero, Vezzadini fa notare che Pagliani fu contattato (da un altro imputato, Alfonso Paolini) quando Michele Coalacino, imprenditore edile di cui la stampa si interesso’ dopo il rogo doloso della sua auto, non era ancora stato raggiunto da un interdittiva antimafia. Lo stesso fece Sarcone, che esterno’ la sua preoccupazione per il clima di sospetto montante verso i cutresi in una lettera a “Libero.it”. Il difensore di Sarcone scomoda poi anche i due massimi esponenti delle istituzioni reggiane, l’allora sindaco Graziano Delrio e la presidente della Provincia dell’epoca Sonia Masini. Il sindaco, quando accompagno’ dal Prefetto alcuni consiglieri comunali di origine cutrese preoccupati per la comunita’ che li aveva eletti, “penso che abbia fatto un’operazione di filtro e di verifica di quanto gli avevano detto”, suggerisce Vezzadini.

Sonia Masini, che lancio’ l’appello “cutresi ribellatevi”, dovette ammettere (a detta del legale) “che c’e” un marchio su Cutro e questo era un problema”. Nell’arringa difensiva non vengono risparmiati nemmeno i giornali su cui “c’era di tutto: addirittura che il 50% degli affari del mattone erano in mano alla ‘ndrangheta”. Per contro pero’, quando Gianluigi Sarcone fu intervistato dal giornalista di Telereggio Marco Gibertini per difendere i cutresi “non ci furono incontri preliminari per concordare le domande e Gibertini si preoccupo’ anche di come fosse andata l’intervista”. Chiedendo l’assoluzione per il suo assistito, Vezzadini conclude: “L’impostazione accusatori e’ viziata da mille patologie e la teoria del patto politico mafioso e’ formata da tanti elementi che sono vicini e accostabili, ma in realta’ non c’entrano nulla tra loro”.

“Gianluigi Sarcone? Coinvolto solo perché fratello”
Se Gianluigi Sarcone rischia 36 anni di carcere e’ perche’ – nel processo Aemilia contro la ‘ndrangheta – “e’ stato tirato in ballo dalla presenza ingombrante del fratello”. Cioe’ Nicolino, ritenuto il capo indiscusso della cosca Grande Aracri in Emilia e gia’ condannato a 15 anni nel rito abbreviato. Parola dell’avvocato Stefano Vezzadini che, nella sua arringa pronunciata oggi nel tribunale di Reggio Emilia, smonta anche le nuove accuse mosse a Gianluigi (oggi ristretto in regime di carcere duro) di essere diventato pur da dietro le sbarre uno dei referenti del sodalizio criminale al posto del fratello.

“Da un mero rapporto di parentela- scandisce l’avvocato- non puo’ giustificarsi un’ordinanza di cattura”. Inoltre “dalla primavera del 2012 i rapporti tra i fratelli si sono interrotti (per dissapori legati a questioni economiche, ndr): non si parlavano quasi piu’ se non per interposta persona”. Sempre a Nicolino, inoltre, il legale attribuisce la strategia mediatica della cosca contro le interdittive della Prefettura reggiana mentre Gianluigi “sarebbe stato solo una pedina”. Quanto alle attivita’ che il minore dei Sarcone avrebbe diretto dal carcere- tra cui l’indottrinamento di alcuni testimoni del processo- a denunciarle sono stati soprattutto i collaboratori di giustizia Antonio Valerio e Salvatore Muto. Ma le loro versioni, evidenzia Vezzadini, “sono piene di contraddizioni e a tratti grottesche”.