Il processo alla 'ndrangheta |
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Aemilia, in aula va in scena l’orgoglio cutrese

5 luglio 2018 | 13:29
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Aemilia, in aula va in scena l’orgoglio cutrese

Le difese: “Calabresi qui a lavorare, ma messi alla gogna dal processo”

REGGIO EMILIA – “Orgoglio cutrese” di scena questa mattina nell’aula di Aemilia. Nel maxi processo contro la ‘ndrangheta in corso a Reggio Emilia le difese degli imputati tornano a battere sul tasto della discriminazione della comunita’ calabrese, che per l’accusa era inventata ad arte e faceva invece parte di una strategia mediatica contro le interdittive antimafia della Prefettura.

Dopo Stefano Vezzadini, avvocato di Gianluigi Sarcone (fratello di Nicolino, indicato come primo referente dell’associazione mafiosa in Emilia) a tornare sull’argomento e’ Giuseppe Migale Rainieri, difensore di Eugenio Sergio e Antonio Floro Vito, genero del capozona del mantovano Francesco Lamanna e fratello di Gianni, uno dei quattro nuovi reggenti del sodalizio. “Questo processo – sottolinea Migale Ranieri, anche lui originario di Cutro (in provincia di Crotone dove ha sede la ‘casa madre’ della cosca Grande Aracri, ndr) – ha avuto una pubblicita’ enorme che ha avuto come effetto collaterale piu’ grande quello di distruggere e letteralmente mettere alla gogna un paese: parlo di Cutro”.

E cioe’: Cutro “in questo processo ci ha rimesso piu’ di tutti perche’ dal 28 gennaio 2015 tutti sono saliti sul carro dei vincitori e tutti si sono girati dall’altra parte quando vedevano un cutrese perche’ per il solo fatto di essere di Cutro doveva essere assolutamente mafioso. Questo e’ stato il primo effetto collaterale di questa operazione”.

Ma il cutrese, sottolinea l’avvocato, “e’ arrivato qui circa nel 1950 e ha contribuito in modo grandioso al benessere di questa citta’. Non puo’ essere fatto l’abbinamento cutrese uguale mafioso. Anche io sono di Cutro e di questi fatti ne ho risentito molto. Vedevo della gente fare delle domande del tipo se i cutresi si erano ghettizzati o integrati e se sapevano dell’associazione. Cose che per me erano scontate: il cutrese e’ venuto qua semplicemente per lavorare, poi come in tutte le cose ci sono persone buone e cattive, ma non e’ che chi e’ cutrese e’ mafioso”.

Tanto e’ vero, sottolinea l’avvocato, “che fino al gennaio del 2015 nessuna associazione ha fatto riferimento all’esistenza di una associazione”. Migale Ranieri non risparmia stoccate anche al mondo della stampa e della societa’ civile che sta seguendo il dibattimento, quando osserva: “Questo doveva essere il processo per far prendere consapevolezza ai reggiani, ma non ho visto nessuno venire ad assistere alle udienze. Le aspettative sono state sicuramente deluse da questo punto di vista”.

E ancora: “Addirittura c’era gente che scriveva in diretta quanto dicevano i testimoni (Agende rosse, ndr) in modo che il testimone successivo lo sapeva subito, in totale spregio al diritto di difesa”. Ma questo “e’ stato il processo in cui sono stati fatti anche dei compendi: ‘A che punto e’ il processo Aemilia’ per coinvolgere la gente di Reggio Emilia, c’erano delle associazioni (la Cgil, ndr) che oltre ad aver scritto libri facevano anche dei convegni su questo processo”. Insomma, “una cosa mai vista”, conclude Migale Ranieri.