Il processo alla 'ndrangheta |
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Aemilia, la difesa di Omar Costi: “Macché estorsore, era una pedina”

14 giugno 2018 | 15:03
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Aemilia, la difesa di Omar Costi: “Macché estorsore, era una pedina”

La richiesta dell’avvocato Chiara Carletti è di “assoluzione piena” o, se i giudici decideranno di condannarlo, di commutare il reato da estorsione in quello di “esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone”

REGGIO EMILIA – L’accusa ha chiesto una condanna a quasi 20 anni di carcere, ritenendolo il cinico e calcolatore autore di una serie di usure ed estorsioni che avrebbero agevolato il sodalizio criminale. Un imprenditore che, per rientrare delle somme (vere o presunte) a lui dovute, si e’ rivolto senza scrupoli agli affiliati della cosca. I quali a loro volta, proprio dal servizio di “recupero crediti” (che di solito si concludeva con il fallimento delle aziende dei debitori,ndr), traevano parte dei profitti illeciti.

Per i suoi difensori invece Omar Costi, imprenditore reggiano di 43 anni che nel processo reggiano Aemilia contro la ‘ndrangheta deve rispondere di sei capi di imputazione, non e’ nulla di tutto questo. Nell’arringa difensiva svolta questa mattina viene anzi dipinto come un “ingenuo” e una “gallina dalle uova d’oro” per il clan, che gli altri associati definivano “il ciccione a cui fottere i soldi perche’ e’ uno scemo”.

Insomma “la pedina su una scacchiera ben definita” che aveva come regista occulto il giornalista Marco Gibertini, condannato per concorso esterno in appello nel rito abbreviato di Aemilia a nove anni e quattro mesi, e figura centrale nel vorticoso giro di fatture false scoperchiato a Reggio Emilia dall’inchiesta Octopus del 2014. Nel dibattimento Costi ha “brillato” soprattutto per la vicenda dell’imprenditore di Viterbo Andrea Cesarini, della cui estorsione aggravata dal metodo mafioso deve rispondere insieme ad altri, tra cui lo stesso Gibertini.

Cesarini (che in aula nel 2016 denuncio’ piangendo di aver ricevuto minacce che riguardavano i suoi figli) fini’ sul lastrico per un presunto debito di 400.000 euro con Costi. Un conto per il quale il viterbese fu costretto a pagare, con pressioni e minacce, 230.000 euro in contanti, 600.000 in assegni e anche la sua stessa macchina, una Lamborghini di cui Cesarini denuncio’ anche il furto per giustificarne la perdita, (rimediando cosi’ una denuncia per falso ideologico, ndr).

Chiara Carletti, legale di Omar Costi, invita prima di tutto la Corte a considerare che “Costi ha rinunciato al rito abbreviato e scelto il dibattimento per dimostrare la sua innocenza”, mentre Cesarini- presunta vittima- non e’ di fatto uno stinco di santo essendo anche l’imprenditore laziale coinvolto nel processo Octopus. Pertanto, sottolinea Carletti, “le sue dichiarazioni vanno sottoposte a rigoroso vaglio critico”. Il legale evidenzia poi che nessuna denuncia per estorsione e’ mai stata presentata da Cesarini ma “non perche’ aveva paura, come facilmente sostiene l’accusa” bensi’ perche’ “Costi vantava un credito vero”. Sul suo assistito Carletti aggiunge: “Non voleva far sapere ai suoi soci dell’ammanco che Cesarini aveva provocato alla sua azienda. Era quindi in uno stato di debolezza, poi diventata ingenuita’, che Gibertini ha sfruttato”. Costi inoltre, “era convinto di affidarsi ad una societa’ di recupero normale e rivendicava un legittimo diritto di riscuotere un credito”.

Riguardo invece ai tre incontri in cui sarebbero state esercitate le pressioni su Cesarini per costringerlo a pagare – l’ultimo dei quali avvenuto l’11 dicembre del 2012 – la difesa di Costi sostiene che non ci siano evidenze di atteggiamenti minacciosi da parte dell’imputato che “alla fine esce di scena senza aver visto neppure cento lire”. Su questo punto, tra l’altro, viene contestata anche un’intercettazione telefonica captata durante uno degli appuntamenti in cui (come riportato dagli investigatori nel brogliaccio) si sarebbe sentito in sottofondo Cesarini piangere. “Vi invito ad ascoltare quella intercettazione”, chiosa l’avvocato Carletti, “non troverete nessuna traccia di questo”. Quanto infine alla Lamborghini (poi finita nelle mani di un uomo d’affari romano) “non c’e’ la prova inconfutabile che e’ entrata nella disponibilita’ del sodalizio”.

La richiesta e’ quindi di “assoluzione piena” per Omar Costi o, se i giudici decideranno di condannarlo, di commutare il reato da estorsione in quello di “esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone”, che risulta pero’ improcedibile perche’ manca la denuncia della vittima. Da riconoscere all’imputato (presente a tutte le udienze, ndr) anche le attenuanti per la “buona condotta” del rispetto delle varie ordinanze del tribunale. Per non gravare sulla macchina della giustizia, infatti, Costi ha anche rinunciato a presenziare al battesimo del figlio, a cui sarebbe dovuto andare scortato (fonte Dire).