Il processo alla 'ndrangheta |
Cronaca
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Aemilia, la difesa dei Vertinelli: “Nessuna prova di aiuto a clan”

21 giugno 2018 | 16:04
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Aemilia, la difesa dei Vertinelli: “Nessuna prova di aiuto a clan”

Gli avvocati: “Sono imprenditori che lavoravano solo con i privati”

REGGIO EMILIA – Da semplici “cottimisti” hanno costruito un piccolo impero economico, come dimostrano i sequestri milionari subiti in questi anni. Ma i fratelli Palmo e Giuseppe Vertinelli, 56 e 57 anni, originari di Cutro e residenti a Montecchio Emilia, imputati per associazione mafiosa nel processo di Reggio Emilia contro la ‘ndrangheta Aemilia, “hanno creato le loro aziende con le proprie forze”. E, soprattutto, “non le hanno mai messe a disposizione del sodalizio criminale”.

A ribadrilo sono gli avvocati Maria Battaglini e Alessio Fornaciari, alternandosi questa mattina nell’arringa difensiva dei due fratelli, che secondo la Dda (che ha chiesto per entrambi la condanna a 30 anni di carcere, ndr) sono invece “imprenditori a disposizione della ‘ndrangheta emiliana soprattutto per attivita’ economiche come il reimpiego di denaro di illecita provenienza sia dall’Emilia che dalla Calabria, in stretto contatto coi vertici dell’associazione”.

Un argomento “pesante” portato dalla difesa e’ in particolare l’ordinanza del tribunale del Riesame di Bologna del febbraio 2015 -per la Procura “sovradimensionato”- che all’alba degli arresti di Aemilia, aveva escluso per i Vertinelli la custodia cautelare, “mancando i gravi indizi di colpevolezza relativi alla presunta appartenenza all’associazione mafiosa”, sottolineano Battaglini e Fornaciari. Atto che era stato poi impugnato portando Palmo e Giuseppe dietro le sbarre.

Ma nell’arringa e’ citata anche la nuova ordinanza di custodia cautelare dei ppm Marco Mescolini e Beatrice Ronchi emessa a fine dello scorso marzo, che ha riportato i fratelli in carcere (il Riesame li ha nuovamente liberati ad aprile, ndr). Qui, sostiene Battaglini, “la Procura non ha fatto altro che modificare i capi di imputazione senza avere in mano indagini che potessero giustificarlo”. Inoltre “si afferma che Palmo e Giuseppe (figli di un ‘ndranghetista d’alto rango morto nel 2009, ndr) siano nel tempo diventati da contigui a intranei all’associazione, ma non viene spiegato quando e come”.

Un punto su cui, dice Fornaciari, “anche i collaboratori di giustizia si sono contraddetti: per Giuseppe Giglio non erano affiliati, per Antonio Valerio e Salvatore Muto si’, per le loro parentele”. Quanto ai vantaggi economici che le aziende dei Vertinelli avrebbero procurato alla cosca, la difesa obietta che “a tutti gli affari emblematici di questo processo, come quello Sorbolo o delle mattonelle, i Vertinelli non hanno mai partecipato se non marginalmente e tutti i cantieri in cui hanno lavorato erano in appalto da ditte del territorio, tutte private. Non c’e’ nessun appalto pubblico”.

Cosi’ come “nella mastontodica mole di atti non troverete prova del reimpiego di denaro illecito, perche’ non c’e'”. Quanto infine agli incontri che i fratelli avrebbero avuto con il boss di Cutro Nicolino Grande Aracri, alcuni di questi sono “smentiti” dalla posizione rilevata dei cellulari degli imputati, che li collocano in luoghi diversi da quelli delle presunte riunioni (fonte Dire).