Il processo alla 'ndrangheta |
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Pestaggio contabile ‘ndrangheta, Libera: “Si teme verità”

8 maggio 2018 | 14:53
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Pestaggio contabile ‘ndrangheta, Libera: “Si teme verità”

Paolo Signifredi, collaboratore di giustizia, percosso con calci e pugni mentre stava rientrando a casa, in una localita’ protetta, per costringerlo a ritrattare le dichiarazioni fatte in ben 3 processi

REGGIO EMILIA – “Un fatto molto grave”, per il presidente di Libera Emilia-Romagna Daniele Borghi, il pestaggio avvenuto lo scorso aprile di Paolo Signifredi (foto), 53enne di Baganzola (Parma), ritenuto uno dei contabili della ‘ndrangheta al nord. Signifredi, diventato collaboratore di giustizia, e’ stato selvaggiamente percosso con calci e pugni mentre stava rientrando a casa, in una localita’ protetta, per costringerlo a ritrattare le dichiarazioni fatte in ben 3 processi di ‘ndrangheta in cui e’ coinvolto.

“Quando lui e’ venuto a testimoniare in udienza ad Aemilia (il processo in corso a Reggio Emilia, ndr) ha denunciato di essere stato minacciato di essere sciolto nell’acido, minacce molto pesanti. Evidentemente quelle minacce erano vere perche’ altrimenti non ci sarebbe stata questa ‘seconda fase'”, dice il presidente regionale di Libera. Questi “signori – aggiunge Borghi – hanno paura che vengano alla luce dei fatti che in parte sono gia’ emersi e sicuramente ce ne saranno anche altri”. Ecco “il vero volto delle mafie: accettare la logica dei ‘colletti bianchi’ porta comunque a questo”, rincara Maria Edera Spadoni, parlamentare del Movimento 5 stelle. “La sicurezza per le persone che si ribellano al sistema negli ambiti di legge deve essere posta al primo posto, onde evitare episodi di questo tipo”, aggiunge.

Il nome di Signifredi, condannato a Brescia nel processo gemello di Aemilia Pesci e coinvolto in quello Kiteryon di Crotone e’ conosciuto anche a Reggio Emilia perche’ tra il 2003 e il 2004 fu presidente della squadra di calcio del Brescello, Comune oggi sciolto per mafia. La sua collaborazione con la giustizia -come spiego’ lui stesso a marzo del 2017 quando testimonio’ in videoconferenza con la citta’ del Tricolore- e’ invece iniziata nell’agosto del 2015 inizialmente sotto minaccia. “Durante la mia detenzione nel carcere di Voghera – ha detto Signifredi – c’era nella mia stessa sezione il detenuto Antonio Rocca (ritenuto insieme a Francesco La Manna il referente della cosca per il mantovano). Ogni giorno mi minacciava dicendomi che avrei dovuto iniziare a collaborare, perche’ lui non poteva farlo, altrimenti avrebbe sciolto nell’acido o dato da mangiare ai maiali, come si faceva giu’, sia me che la mia famiglia”.

E ancora: “Rocca mi dettava in carcere il resoconto di alcuni fatti che avrei dovuto riferire in aula per sembrare attendibile e poi scagionarlo da due altri episodi in cui era coinvolto. Naturalmente al primo interrogatorio il pm si e’ accorto che di quello che leggevo non sapevo nulla, che non era farina del mio sacco e allora ho deciso di collaborare con la giustizia solo per quello che effettivamente avevo vissuto”. La vicenda del pestaggio e’ emersa sempre a Reggio Emilia durante l’udienza di un altro processo in cui Signifredi e’ implicato. Quello su una frode fiscale da 130 milioni di euro, dove il parmigiano non si e’ presentato. Il suo avvocato ha depositato un certificato medico che attesta le fratture del suo assistito, giudicate guaribili in 30 giorni.