Il processo alla 'ndrangheta |
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Aemilia, Mescolini: “Riscontri pentiti sono già sufficienti per condanna”

15 maggio 2018 | 14:51
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Aemilia, Mescolini: “Riscontri pentiti sono già sufficienti per condanna”

La requisitoria del sostituto procuratore: “Hanno descritto le condotte degli imputati a favore della cosca”

REGGIO EMILIA – Gia’ solo le dichiarazioni rese dai tre collaboratori di giustizia Antonio Valerio, Salvatore Muto e Giuseppe Giglio, sarebbero sufficienti, secondo il pm Marco Mescolini, a “fondare la condanna” per i 147 imputati del processo Aemilia contro la ‘ndrangheta in corso a Reggio Emilia. Il magistrato lo ha detto questa mattina iniziando la sua requisitoria, che durera’ altre tre udienze, spiegando: “Questi tre collaboratori hanno chiamato in correita’ tutti gli imputati (i 23 che hanno scelto il rito abbreviato e gli altri del rito ordinario) dicendo ‘sono appartenenti come me alla ‘ndrangheta’”.

Ma “non si limitano a guardare un album fotografico e a dire ‘e’ uno dei nostri o non lo e”. Di ciascuno di loro ci danno anche dei riscontri individualizzati descrivendo le condotte con cui gli imputati si sono messi a disposizione della cosca”. Pertanto, dice Mescolini, “ritengo che solo questo dato, l’idea che noi abbiamo provato la credibilita’ intrinseca ed estrinseca dei collaboratori, dal punto di vista processuale faccia pendere la bilancia nel senso della impossibilita’ di giungere a conclusioni diverse da quelle che noi renderemo”.

Il procedimento iniziato a marzo del 2016, che vede alla sbarra 147 imputati (alcuni dei quali a giudizio con rito abbreviato scelto dopo la contestazione in itinere di nuovi capi di imputazione) imbocca cosi’, dopo 166 udienze, la volata conclusiva fino alla sentenza prevista in estate. Mescolini, che si alternera’ con la collega della Dda di Bologna Beatrice Ronchi, prevede infatti di esaurire le argomentazioni dell’accusa in tre udienze a partire da oggi, cedendo poi il testimone agli avvocati delle parti civili e dei difensori per le arringhe.

Il pm oggi ha parlato a braccio per circa 3 ore e, con l’ascolto in aula di intercettazioni telefoniche raccolte dagli investigatori durante le indagini culminate negli arresti del gennaio 2015, ha tratteggiato le attivita’ illecite e il modo di operare degli esponenti della presunta cosca di ‘ndrangheta radicata in Emilia, facente capo alla “casa madre” di Cutro guidata dal boss Nicolino Grande Aracri.

“Delitti unico interesse degli imputati”
Aggiunge Mescolini: “L’interesse principale dei nostri imputati e’ di commettere delitti, di campare del denaro prodotto da quei delitti e di utilizzarlo per commettere altri delitti, in un gruppo che ha al suo interno regole assolute”.

“I ‘delitti fine’ che formano elementi di manifestazione del delitto al capo 1 (l’associazione di stampo mafioso, ndr) – spiega Mescolini – sono quindi le frodi fiscali il reimpiego (di capitali illeciti), le estorsioni e le usure”. Ma ci sono anche, prosegue il magistrato, “delitti che possono apparire minori e in effetti lo sono dal punto di vista penale, ma che ci descrivono l’attivita’. Nei verbali troverete un traffico di casse da morto dalla Romania, le gomme, il gasolio: non si butta via niente perche’ c’e’ opportunita’”.

Secondo Mescolini, infine, c’e’ anche un elemento “soggettivo” tale da confermare l’esistenza del sodalizio criminale. E’ “l’intimidazione che crea assoggettamento e omerta’ e determina in chi la subisce non solo paura, ma anche incapacita’ e non volonta’ di manifestare questa paura all’esterno”. L’omerta’ “e’ per noi elemento di prova dell’associazione di stampo mafioso”, conclude il pubblico ministero, ricordando che nella stessa aula del tribunale reggiano sono sfilati in questi due anni e mezzo “testimoni subornati, minacciati e reticenti”.

“Non è mai stata la ‘ndrangheta a fare il primo passo verso le imprese”
Secondo Mescolini se in Emilia la ‘ndrangheta “e’ riuscita a fare quasi sempre quello che voleva” e’ perche’ “qualcuno ne ha notato la convenienza. Perche’ la frode fiscale o la falsa fattura fatta dalla ‘ndrangheta e’ piu’ sicura di quella fatta da altri. Non c’e’ minaccia, e’ conveniente”.

“In questo processo voi non troverete in nessuno degli atti – scandisce il magistrato – che uno degli imputati accusati di far parte della ‘ndrangheta abbia fatto il primo passo verso gli imprenditori. Non e’ mai stato cosi’ e lo dimostreremo carte alla mano anche per tutti quei delitti di cui gli imprenditori sono poi diventati vittime”. I titolari di aziende colpiti “sono diventati degli epigoni perche’ – spiega il pm della Dda di Bologna – inizialmente si rivolgono alla ‘ndrangheta per avere quello che altrimenti non avrebbero potuto avere e vivono una luna di miele”. Ma questa, chiude Mescolini, “e’ destinata a finire perche’ costoro (gli ‘ndranghetisti, ndr) non si accontentano di avere dei soci, mai”.

“Gibertini fece marketing su arresto di Sarcone”
Nel mondo della ‘ndrangheta al nord, a giudizio nel processo Aemilia in corso a Reggio Emilia, contavano solo gli affari. E perfino la condanna di un esponente di spicco poteva contribuire a creare nuove opportunita’ di profitto. Lo rivela un episodio citato questa mattina nella sua requisitoria dal pm Marco Mescolini, con protagonista Marco Gibertini, il giornalista reggiano gia’ condannato in appello con rito abbreviato il 12 settembre del 2017, a nove anni e quattro mesi per concorso esterno in associazione mafiosa. “La condanna di Nicolino Sarcone avvenuta a gennaio del 2013 – spiega il pm- ad onta di essere un fatto foriero di cattive conseguenze, fa al contrario partire da parte di Gibertini una ‘campagna pubblicitaria’ che propone i servizi di costui che era indicato come il capo della ‘ndrangheta”. In dettaglio Gibertini proponeva “a chi la protezione con i kalashnikov, a chi il recupero crediti”. Insomma, chiude il magistrato, “traeva da questo fatto linfa per proporre i servizi di questa associazione cosi’ efficiente”.

“Tempi processo molto ragionevoli”
Il fatto che, dopo quasi tre anni di udienze, il processo Aemilia contro la ‘ndrangheta al nord celebrato a Reggio Emilia si avvii alla conclusione “evidenzia una capacita’ di risposta della giustizia emiliano-romagnola che probabilmente nessuno poteva immaginare”. Parola del pm Marco Mescolini, che nella sua requisitoria iniziata stamattina, sottolinea il tempo “cosi’ ragionevole” in cui si e’ svolto il maxi processo con centinaia di imputati e migliaia di documenti agli atti. Mescolini definisce “encomiabile” chi ha diretto il procedimento- il giudice Francesco Maria Caruso che del tribuale di Reggio Emilia e’ stato presidente- e aggiunge: “In queste tante udienze credo che il mio ufficio sia stato il motore dei nove decimi degli elementi che sono stati portati davanti al collegio”. Questo perche’, conclude il pubblico ministero, “le indagini da parte nostra non sono mai cessate” (fonte Dire).