Il processo alla 'ndrangheta |
Cronaca
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Aemilia, Macrì: “Non avevo bisogno dei soldi della cosca”

31 maggio 2018 | 14:26
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Aemilia, Macrì: “Non avevo bisogno dei soldi della cosca”

L’avvocato Nicoletta: “I fondi per l’avvio del ristorante sono derivati dalla vendita di due immobili”

REGGIO EMILIA – La casa di proprieta’ del sindaco di Reggio Emilia Luca Vecchi comprata tre anni prima dell’inchiesta Aemilia da Francesco Macri’ (oggi imputato nel maxi processo contro la ‘ndrangheta che rischia 8 anni e 6 mesi di carcere piu’ 10.000 euro di multa, ndr) causò al primo cittadino reggiano notevoli grattacapi politici, soprattutto dovuti agli attacchi del M5S.

Oggi lo stesso immobile fa buon gioco alla difesa di Macri’, che ha chiesto di assolverlo da tutte le accuse a suo carico “perche’ il fatto non sussiste”. La casa di Masone che nel 2012 fu comprata per 242.000 euro dalla moglie di Vecchi, Maria Sergio, dalla societa’ di Macri’ – la M&F General Service Srl (Macrì è stato arrestato agli inizi del 2015, ndr) – e’ ritornata infatti oggi sotto i riflettori in aula, dove nell’arringa del difensore dell’imprenditore (Carla Nicoletta del foro di Bologna, in sostituzione dell’avvocato Stella Pancari), e’ stata ricollegata alle accuse mosse a Macri’ per un’altra sua attivita’ imprenditoriale. Cioe’ la gestione del ristorante di Calerno, “Il cenacolo del pescatore” (ex “Millefiori”), considerato dagli investigatori una delle “lavatrici” di denaro sporco della cosca cutrese, in cui Macri’ sarebbe stato un prestanome e il boss di Cutro Nicolino Grande Aracri, un socio occulto.

A sostegno di questa tesi accusatoria i periti contabili del tribunale hanno sostenuto, tra l’altro, che Macri’ non disponesse delle risorse necessarie per avviare il ristorante ed e’ qui che l’avvocato Nicoletta ha eccepito come nel 2012, dalla casa venduta alla moglie di Vecchi piu’ un’altra compravendita, l’imprenditore avesse invece capitalizzato circa 700mila euro che ha tra l’altro girato a se stesso (usando quindi risorse proprie e non del sodalizio criminale). Macrì dunque, secondo l’avvocato, disponeva dei soldi per avviare l’attività.

Inoltre, considerato che l’attivita’ ebbe poco piu’ di un anno di vita, Nicoletta obietta: “E’ un dato certo che il ristorante si sia dimostrato un fallimento. Se un boss della ‘ndrangheta avesse davvero voluto investire, l’attivita’ non sarebbe stata cosi’ limitata nel tempo e l’andamento sarebbe stato ben piu’ proficuo”. Risulta infine “inverosimile” per il legale la ricostruzione fatta dal collaboratore di Giustizia Giuseppe Giglio, che ha raccontato di un incontro a casa di Nicolino Grande Aracri in cui il boss si informo’ del rendimento del “Cenacolo”. Giglio colloca questo episodio a maggio del 2012, mentre il ristorante apri’ solo il mese seguente (Fonte Dire).