Editoriale

Montanari, l’eretico che aprì uno squarcio sui delitti del Dopoguerra

17 aprile 2018 | 14:47
Share0
Montanari, l’eretico che aprì uno squarcio sui delitti del Dopoguerra

Subì l’ostracismo del partito e dell’Anpi per il suo “Chi sa parli”. Quell’ambasciata a Togliatti da parte del Pci reggiano che non voleva la Iotti nel comitato centrale

REGGIO EMILIA – Pansa lo definì un “fesso d’oro”, salvo poi fare soldi con i suoi libri proprio sui crimini dei partigiani nel Dopoguerra. Il Pci-Pds lo bollò come un eretico e lo emarginò. Venne espulso dall’istituto Cervi, di cui era presidente, e dal comitato provinciale Anpi. Un affronto tremendo per lui che, ex partigiano, era stato ferito durante la Resistenza, rimanendo zoppo per tutta la vita in seguito a un colpo di pistola.

Il giorno che arrivò il fax di Montanari ai giornali, con il famoso “Chi sa parli”, si racconta che l’allora direttore della Gazzetta di Reggio, Umberto Bonafini, grande giornalista che quel giorno ebbe una svista, lo vide e lo cestinò esclamando: “Le solite robe di quel r… di Montanari (che in effetti un po’ prolisso lo era, ndr)”. Un giovane cronista del Carlino, Mike Scullin, lo lesse ed esclamò: “Ma questa è una bomba”. E fece lo scoop. Dopo la pubblicazione scoppiò il finimondo, in poco più di un mese uscirono più di 1.200 articoli su tutti i giornali italiani.

Montanari era diventato l’eretico che aveva osato squarciare, dall’interno, il velo di omertà sui delitti commessi dai partigiani nel Dopoguerra. Il delitto a cui faceva riferimento Otello nel suo famoso “Chi sa parli” era relativo all’uccisione del direttore tecnico delle Officine Reggiane, Armando Vischi, ammazzato il 31 agosto del ’45 da una formazione paramilitare. Ma quello era solo l’antipasto. Il peggio doveva venire dopo, nel ’91, quando l’ex partigiano rivela prove decisive sulle responsabilità dell’omicidio di don Pessina, per cui, nel frattempo, erano finiti in galera due innocenti, Germano Nicolini ed Egidio Baraldi.

Raccontò Montanari allora: “L’ex archivista del Pci Rangoni ritrovò la registrazione di una conversazione con l’allora responsabile della federazione Pci di Reggio, Nizzoli, in cui risultava che si era deciso di tacere sui veri colpevoli, così ci siamo rivolti al magistrato ed è stato possibile avviare il processo di revisione”. Da lì l’ostracismo del partito e dei vertici dell’Anpi divenne implacabile nei confronti di Montanari.

Una vendetta che ha continuato a consumarsi fino al 2011, con il presidente provinciale dell’associazione partigiana, Giacomo Notari, che accusò Montanari, velenosamente, di non aver raccontato tutto quello che sapeva sulla morte di don Pessina. Disse Notari: “Qualche decennio prima, quando c’era Nicolini in galera, se avesse parlato apertamente, forse Diavolo non avrebbe fatto tutta la galera che ha fatto ingiustamente. Così anche per Baraldi”. Montanari querelò Notari per quelle affermazioni anche se poi, alla fine, arrivati di fronte al giudice del tribunale di Mantova, i due decisero che non sarebbe stato un magistrato a decidere di una diatriba fra vecchi partigiani e ci misero una pietra sopra non entrando in aula.

Montanari, certo, non poteva sapere quello che avvenne, perché all’epoca era in ospedale ferito dai colpi delle SS naziste. Seppe della registrazione solo nel ’91. Notari lo riconobbe e disse: “Riconosco che Otello, appena saputo di prove utili per ottenere giustizia, agì con tempestività, fornendo un decisivo contributo a svelare la verità. Chiedo scusa di avergli procurato sofferenze, amarezze e preclusioni”. La riabilitazione definitiva era arrivata, dopo un quarto di secolo di veleni.

L’ambasciata a Palmiro Togliatti
Ma il “Chi sa parli” non è l’unico episodio in cui Montanari venne messo in difficoltà dal suo partito. Ce n’è un altro, celebre, che lui raccontava spesso e che è ben illustrato in un’intervista rilasciata da Montanari al giornalista reggiano Andrea Zambrano. Siamo nel ’47. Oramai è nota a tutti la relazione fra la giovane reggiana Nilde Iotti e il “Migliore” che era sposato. Il Pci, che è sempre stato piuttosto bacchettone su queste cose, non apprezza. E così i compagni reggiani mandano a Roma Valdo Magnani e l’allora sindaco Cesare Campioli. I due parlano con Pietro Secchia che cerca di proteggere Togliatti ma, sostanzialmente, conferma la liaison fra i due. Nel frattempo Togliatti e la Iotti vanno a vivere insieme in via delle Botteghe Oscure, sopra la sede del Pci. La storia, oramai, è evidente a tutti. Fra l’altro, nell’Italia di allora, l’abbandono del tetto coniugale era un reato. La Dama bianca finì in carcere per la sua relazione con Fausto Coppi.

Passa qualche anno e, nel ’56, la Iotti è in procinto di entrare nel comitato centrale del Pci. Il malumore, per la relazione con il segretario nazionale, è ancora viva fra i vertici del Pci reggiano. Il segretario di allora, Onder Boni, convoca una riunione clandestina della delegazione reggiana e la Iotti viene estromessa utilizzando una serie di scuse. Bisogna tuttavia scegliere qualcuno che porti la ferale notizia al “Migliore”. Boni guarda l’allora trentenne Otello Montanari e gli dice, perfido: “Sei stato suo allievo a Ragioneria, vacci tu”. Montanari racconta che andò nella capitale con le gambe che non lo reggevano.

Entrò nell’ufficio di Togliatti che era concentratissimo a correggere la sua relazione. Il segretario nazionale alzò gli occhi, riconobbe Montanari e gli disse: “Beh, che c’è?”. Il povero Otello balbettò qualcosa come: “Noi siamo contro”. Togliatti capì, non c’era bisogno di dire altro. Domandò solo: “Perché?”. Tutta la conversazione avvenne senza mai fare il nome della Iotti. Non ce n’era bisogno. Montanari avanzò una serie di scuse. Poi Togliatti lo prese di petto e gli disse: “Ha per caso fatto qualcosa contro la nostra morale?”. Il povero Montanari se ne uscì solo con un: “Mi hanno detto di dire che siamo contro”.

Togliatti lo inchiodò con lo sguardo e replicò: “Dunque con la situazione politica attuale a Est, l’Ungheria a ferro e fuoco e con la crisi del Canale di Suez voi vi concentrate su questo?”. A quel punto Montanari se ne andò, non prima di un confronto drammatico con la Iotti che lo vide, capì quello che era andato a dire a Togliatti e scoppiò in lacrime dicendo: “Ma non capite che lo amo? Che è l’uomo della mia vita?”.

Per la cronaca, la ambasciata di Montanari non servì a nulla e la Iotti entrò comunque nel comitato centrale del Pci con buona pace dei compagni reggiani. Fu, come dire, una prova generale di quello che sarebbe accaduto 35 anni dopo quando, ancora una volta, Otello Montanari dimostrò di che pasta era fatto non indietreggiando di fronte a chi lo accusava di essere un traditore.