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Una folla in lacrime per l’addio a Carmelo Cataliotti

3 aprile 2018 | 17:05
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Una folla in lacrime per l’addio a Carmelo Cataliotti

Oggi l’ultimo saluto nella chiesa di San Pellegrino al principe del foro reggiano. La poesia scritta a quattro mani con i figli

REGGIO EMILIA – In tanti, avvocati e amici, hanno affollato la chiesa San Pellegrino per rendere un ultimo saluto all’avvocato Carmelo Cataliotti, morto a 83 anni dopo una lunga malattia. In prima fila la moglie Silvia e i tre figli, Annalisa, Cristina e Liborio. A officiare la messa don Giuseppe Dossetti.

Negli ultimi giorni, come si evince dalla poesia che pubblichiamo sotto, l’avvocato, che sentiva oramai la fine vicina, aveva chiesto un certificato medico per giustificare la sua assenza dalle aule di giustizia.

Ad accompagnare il feretro c’era anche Vanna Marchi e la figlia Stefania Nobile da anni clienti del figlio, l’avvocato Liborio Cataliotti.

La poesia
Perchè possa essere di aiuto a chi sta perdendo un caro, ci tengo a pubblicare la poesia che noi figli abbiamo (tra)scritto in ricordo dell’ultimo periodo di sofferenza del nostro amato papà:

Anche un malato in fase terminale può scrivere una poesia, sia pure a quattro mani,
se non si lascia andare alla disperazione, pur avendo compreso la propria irreversibile sorte, e prega tutte le sue ultime notti Dio senza implorargli l’impossibile salvezza terrena, se ogni giorno dispensa non pretesi ne’ debiti ringraziamenti ai parenti che sono amorevolmente onorati di poterlo aiutare, consci che non potranno ne’ salvarlo ne’ tantomeno ormai ripagarlo di quanto – ed è stato tanto – da lui hanno ricevuto, se raccoglie tutte le residue energie per farsi bello all’arrivo dei nipotini, chiedendo di essere pettinato e di potersi presentare seduto sulla poltrona, anche se ormai lo sforzo è immane, se tiene stretta per interi mesi, senza sosta, giorno e notte, la sempre disponibile mano della sua amata instancabile meravigliosa moglie, che non si stacca da lui nemmeno per un istante, salvo quando i figli chiedono di potere avere lo stesso privilegio, per potere accarezzare e baciare pudicamente e quasi di nascosto il loro amato papà, se ogni notte si addormenta, sia pure per un sonno di poche decine di minuti, guardando gli occhi innamorati della moglie, venendone ricambiato con lo stesso sguardo, che non si abbandona al fugace riposo se non contestualmente al suo innamorato, se ad uno dei figli, il più debole, vedendolo piangere, dispensa rassicurazioni bugiarde: “ce la faccio, ce la faccio..”, mentre poco dopo, alle sue donne – moglie e figlie -, dice, consapevole del suo destino prossimo, “accarezzatemi che sono vicino alla morte”, se il giorno prima di volare in Paradiso, ai medici che hanno appena impartito ai suoi parenti le tristi istruzioni per alleviare il dolore fisico dei suoi ultimi istanti di vita terrena, chiede “mentendo stavolta a se’ stesso” con un filo di voce un certificato medico che giustifichi la sua temporanea assenza dalle aule di giustizia, già, anche un momento inevitabilmente tragico, può essere tradotto in poesia, se gli autori sono il nostro papà e la nostra mamma.