Il processo alla 'ndrangheta |
Cronaca
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Aemilia, parlano i Vertinelli: “Abbiamo solo lavorato”

3 aprile 2018 | 14:58
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Aemilia, parlano i Vertinelli: “Abbiamo solo lavorato”

Carmine Belfiore: “False fatture? Volevo solo rubare per il gioco”

REGGIO EMILIA – Parola agli imputati nell’udienza di questa mattina del processo reggiano Aemilia contro le infiltrazioni della ‘ndrangheta al nord. I lavori dell’aula si sono infatti concentrati sulle dichiarazioni spontanee rese da alcuni di loro, come annunciato nei giorni scorsi dai difensori. Tutti gli imputati – con qualche variante – hanno in sostanza ribadito tre cose: di non aver mai fatto parte “prima, ora e dopo” della presunta associazione mafiosa che per l’accusa sarebbe stata invece in piena attivita’ fino a pochi mesi fa, di non aver avuto alcun rapporto con il boss di Cutro Nicolino Grande Aracri a cui il sodalizio avrebbe risposto in tutto e per tutto e, infine, che i pentiti che li accusano sarebbero mossi da rancori personali, perlopiu’ derivanti da questioni di lavoro.

Ad essere ascoltati dalla Corte, presieduta da Francesco Maria Caruso, sono per primi Palmo e Giuseppe Vertinelli, i due fratelli originari di Cutro e residenti a Montecchio Emilia, accusati di associazione mafiosa commessa dal 2004 fino al febbraio 2018. Il loro impero immobiliare (piu’ volte colpito da sequestri in questi anni) sarebbe servito secondo la Dda, a favorire la ‘ndrangheta emiliana soprattutto per attivita’ economiche, come il reimpiego di denaro di illecita provenienza sia dall’Emilia che dalla Calabria, in stretto contatto coi vertici dell’associazione.

I Vertinelli ricostruiscono in aula la propria parabola imprenditoriale dagli anni ’70, “da cottimisti a impresari” lavorando, specifica Palmo, “al 100% con privati. Nel pubblico facevamo solo qualche garetta”. Poi, continua il calabrese, arrivano i bui anni ’90, con la crisi economica e un’interdittiva antimafia della Prefettura. “Ho scritto quattro raccomandate al prefetto per sapere cosa fare, ma non mi hanno mai risposto. Ho anche chiesto aiuto al sindaco, ma lui mi ha risposto che dovevo spingere con gli avvocati”. Pero’, sottolinea Vertinelli, “era tutto per salvare le aziende: la questione era pulita. Se era sporca non si faceva tutto questo casino”.

Giuseppe Vertinelli evidenzia a sua volta la circostanza dell’arresto del figlio Antonio, nel 2016, per aver eluso l’amministrazione giudiziaria che gestisce i beni sequestrati e continuato ad incassare affitti da appartamenti con i sigilli. “Mio figlio non sapeva che non doveva prenderli, nessuno lo ha avvertito, lo ha fatto per prendere una bottiglia di latte ai suoi figli”. Grande Aracri Nicolino? “Non l’ho mai visto ne’ ci ho parlato”. Infine il calabrese si sfoga: “Se non mi portano un fatto, io da tutto questo fango che mi stanno tirando addosso non riesco a difendermi”. Ad invitare i Pm a portare evidenze concrete della sua colpevolezza e’ anche Francesco Amato, mentre Carmine Belfiore, accusato di falsa fatturazione, dice: “A me interessava solo rubare per andare a giocare, perche’ ho il vizio del gioco”.

Le “false fatture le ho fatte per disperazione, ma non sono bravo con i numeri”. Aggiunge poi Amato: “Sono il cutrese piu’ stupido dell’Emilia-Romagna, perche’ per quello che ho fatto ho sempre pagato. E’ giusto che lo faccia anche ora, ma non per un’associazione di ‘ndrangheta che fino a qualche mese fa manco sapevo cos’era. Per me sono barzellette”. Michele Bolognino, indicato come il referente della cosca nel parmense, si difende da tutti i reati “satellite” che gli vengono imputati e chiosa: “Dicono che ero il capo, ma alla fine facevo sempre io i lavoretti nei locali”. L’udienza ha registrato all’inizio anche attimi concitati, quando il collaboratore di giustizia Antonio Valerio non e’ apparso in videoconferenza dal sito riservato in cui e’ detenuto. “Hanno cambiato il suo regime di detenzione e non ho contatti con lui”, spiega il suo legale. Dopo una verifica Caruso tranquillizza: “Tutto a posto, c’e’ stato un disguido”.