Il processo alla 'ndrangheta |
Cronaca
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Aemilia, niente attenuanti per Gibertini: “Finto pentimento”

27 febbraio 2018 | 18:20
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Aemilia, niente attenuanti per Gibertini: “Finto pentimento”

La corte d’Appello sul giornalista reggiano condannato a nove anni e quattro mesi per concorso esterno: “Le ammissioni fatte appena tre mesi dopo la custodia cautelare non sono sintomatiche di un sincero ravvedimento ma strumentali alla mitigazione della pena”

REGGIO EMILIA – Ha provato a chiedere le attenuanti generiche fingendosi ravveduto Marco Gibertini, il giornalista reggiano coinvolto dall’inchiesta Aemilia contro la ‘ndrangheta e condannato in appello con rito abbreviato il 12 settembre del 2017 a nove anni e quattro mesi. La sentenza ha sostanzialmente confermato il verdetto di primo grado. Gibertini e’ stato giudicato per concorso esterno in associazione mafiosa, quattro tentate estorsioni pluriaggravate (per una delle quali e’ stato assolto in secondo grado) e una consumata.

La richiesta delle attenuanti da parte del condannato emerge dalle motivazioni della sentenza, depositate ieri a Bologna. Nelle oltre mille pagine degli atti, viene anche riportato uno stralcio dell’arringa finale del difensore di Gibertini, che definisce il suo assistito “reo confesso e schiacciato dalle prove”, dichiarando poi: “Le generiche vanno riconosciute a questo delinquente. E’ un delinquente. Non vengo a sostenere che sia un santo. Ma e’ un delinquente che ha preso le distanze del suo agire”.

Il legale ha quindi citato un manoscritto depositato nel 2015 dal reggiano durante l’udienza di appello del tribunale del Riesame, per passare dal carcere agli arresti domiciliari, in cui ammetteva alcune delle sue responsabilita’ circa le estorsioni. I giudici del Tribunale della liberta’ avevano accolto il gesto come “un principio di riflessione critica”.

Per la Corte d’appello “la sentenza di primo grado va confermata anche nel trattamento sanzionatorio” perche’ “le ammissioni fatte appena tre mesi dopo la custodia cautelare non sono sintomatiche di un sincero ravvedimento ma strumentali alla mitigazione della pena” e anche per aver ravvisato delle menzogne nel manoscritto difensivo. Tra gli imputati dell’inchiesta Aemilia Gibertini era emerso in modo particolare poi, anche per la puntata del 10 ottobre 2012, della trasmissione televisiva che conduceva negli spazi di Telereggio, dedicata alla cosiddetta “cena delle beffe”.

Cioe’ l’incontro al ristorante Antichi Sapori avvenuto nel marzo precedente, dove la cosca di ‘ndrangheta oggi a processo, mise a punto la strategia mediatica per rispondere alle interdittive antimafia del prefetto, con l’aiuto del politico del Pdl Giuseppe Pagliani. Nella trasmissione furono intervistati lo stesso Pagliani e Gianluigi Sarcone, fratello di Nicolino, ritenuto il primo luogotenente del boss di Cutro Nicolino Grande Aracri.

Nelle motivazioni della sentenza i giudici scrivono che Gibertini, offrendo spazi sui media agli imprenditori ‘ndranghetisti, “conferiva in tal modo a costoro dignita’ di voce meritevole di inserimento nel pubblico dibattito cittadino”. In un’intercettazione il giornalista si vantava poi delle sue conoscenze mafiose: “Faro’ un libro su di loro, e’ da anni che li studio”. Mentre del potere del capocosca Nicolino Sarcone, diceva: “Non si muove niente senza di lui”.