Il processo alla 'ndrangheta |
Cronaca
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Aemilia, Marino: “Nel 2002 si parlò di uccidere Vertinelli”

16 gennaio 2018 | 16:41
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Aemilia, Marino: “Nel 2002 si parlò di uccidere Vertinelli”

Nel mirino della cosca anche un giornalista che rompeva le scatole

REGGIO EMILIA – Nel 2002 Palmo Vertinelli, imputato nel maxi processo di ‘ndrangheta Aemilia, rischio’ di morire. La cosca ne decreto’ in una riunione l’esecuzione perche’ l’imprenditore calabrese residente a Montecchio, incaricato di gestire gli investimenti del sodalizio, aveva sgarrato. In particolare, “mancavano alcuni immobili” che Vertinelli avrebbe dovuto acquistare e poi vendere.

Il retroscena lo svela il pentito Vincenzo Marino, parente del boss di Cutro Nicolino Grande Aracri, che si offri’ personalmente di svolgere l’incarico. Dalla sua deposizione di questa mattina in aula emergono poi altri due episodi a tinte fosche. Marino riferisce di un incontro in un capannone di Gualtieri per parlare di “un giornalista che dava fastidio. Dovevamo sistemare questo giornalista se avesse ancora rotto le scatole”, spiega il pentito, pur non ricordando il nome del cronista.

Ancora piu’ cupa un’altra circostanza resa nota, quella avvenuta nel reggiano (Marino non ricorda se nel Comune capoluogo o in provincia) dove era sorto un problema “forse con un assessore o con uno che comunque firmava gli atti regolatori” (probabilmente i piani regolatori, ndr). Nulla di grave per la cosca perche’, afferma il collaboratore di giustizia, “o mette la firma o questo lo ammazziamo e la firma la mette un altro”.

Marino ha poi confermato che all’interno dell’associazione malavitosa distaccata in Emilia era possibile ottenere una sorta di “statuto speciale”, come quello di Antonio Valerio che poteva godere di piu’ autonomia rispetto alla casa madre. Valerio pero’, Marino dice di non averlo mai conosciuto. I lavori dell’udienza hanno visto la testimonianza anche di Ermes Ferrari, protagonista secondo Antonio Valerio di una serie di truffe con vini e pellami. Ferrari ha respinto le accuse. Hanno poi rilasciato dichiarazioni spontanee, per dichiararsi innocenti, gli imputati Moncef Baachaoui e Luigi Serio.

Quest’ultimo, geometra in una ditta di Giuseppe Giglio, non solo si e’ dichiarato vittima di un caso di omonimia ma, per dimostrare di non essere colluso, ha riferito di aver subito anche minacce. “Ti porto in capannone e ti spacco in due come una capra”, gli avrebbero detto. Infine il presidente della Corte Francesco Maria Caruso ha “pregato” l’Ordine degli avvocati di indicare ad ogni udienza un difensore d’ufficio per l’imputato Antonio Muto, visto che il suo legale di fiducia e’ spesso assente e, non nominando un sostituto, paralizza le attivita’ dell’aula.