The Stage, in scena la cucina di Albini

9 dicembre 2017 | 09:20
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The Stage, in scena la cucina di Albini

Gli ambienti del ristorante di piazza Gae Aulenti a Milano richiamano un set cinematografico. Qui cibo, servizio e location si fondono magistralmente

REGGIO EMILIA – Piazza Gae Aulenti è l’emblema della nuova Milano, una città che fino a 20 anni fa era considerata sinonimo di grigiore e smog e che oggi vive un vero e proprio Rinascimento. La Piazza, sopraelevata e situata nel quartiere Isola a pochi metri dalla stazione di Porta Garibaldi, è un autentico gioiello del design. Nel 2016 le è stato attribuito il Landscape Institute Prize di Londra come piazza più bella del mondo nella categoria “medie dimensioni”. Al suo fianco sorge il non meno celebre Bosco Verticale dell’architetto Boeri, ed essa stessa è dominata dall’imponente grattacielo UnIcredit, sede centrale della banca, con le luci accese 24 ore su 24 per i collegamenti con le filiali e le Borse di tutto il mondo, che accoglie ogni giorno 11.000 persone. E’ visitata in media ogni anno da 7 milioni di persone. Il neonato F.i.Co. a Bologna, giusto per dare un’idea, si estende su un’area enormemente più ampia e vorrebbe arrivare a 6 milioni di presenze, ma pronostichiamo che non ce la farà… Piazza Gae Aulenti, dove hanno sede anche Nike ed Esselunga, appartiene a un fondo qatariota.

In questo capolavoro di architettura contemporanea si trova lo store della maison Replay. Nello stesso edificio c’è il motivo principale della nostra visita, il ristorante “The Stage”. Si è fatto un gran parlare, recentemente, della prossima apertura in Galleria Vittorio Emanuele a Milano del nuovo ristorante di Cracco e del canone di locazione annuale che dovrà pagare, circa un milione e seicentomila euro all’anno. Bene, The Stage/Replay sborsa più o meno la stessa cifra. “The Stage” è stato progettato da un famoso studio newyorkese, Roman & Williams Buildings and Interiors.

Gli ambienti ricordano un set cinematografico e la stiva rovesciata di una nave. Nel progetto é impegnata la società AtCarmen (così battezzata per un’intuizione di Oliviero Toscani) del supermanager dell’hotelerie di charme Martino de Rosa e di Carmen Moretti, vicepresidente della holding proprietaria delle cantine Bellavista, che a guidare lo spettacolare ristorante hanno chiamato lo chef bresciano Fabrizio Albini. Massimo Bottura ha scritto che il grande cuoco deve avere tre qualitá: umiltá, sorriso e tanta cultura. E’ esattamente il ritratto di Fabrizio Albini, che, nonostante un curriculum da far paura, fatto di esperienze importantissime con Gualtiero Marchesi e Vittorio Fusari in Italia e in prestigiosi ristoranti in Francia e in Giappone, mette subito a suo agio il cliente con una semplicità e una cordialità lontane mille miglia dall’immagine stereotipata (a volte però, ahinoi, con qualche fondamento nella realtà) del celebrity chef che se la tira troppo.

Fabrizio Albini nel suo ristorante

D’altro canto, il tristellato francese Michel Guerard di “Les pres de Eugenie” (dove il vostro cronista é stato) ha dichiarato che “il 52% dell’esperienza in un ristorante é determinato dal servizio”. Chi scrive ha ordinato a “The Stage” il menù degustazione “Illusioni”. In accompagnamento, con l’intento di spazzolare via un po’ della nostalgia sedimentata dopo un recente weekend ad Alba, abbiamo chiesto un Barbera d’Alba 2014 di Luciano Sandrone. Sono arrivati raviolo di sedano rapa e melograno, come amuse bouche; crepe di calamaro, yogurt, sarda e gin; “riso” di seppie, vongole, topinambur, bitter; sfera di fois gras glassata con gelatina di arancia su brodo di anguilla,mandorle e limone e pan brioche; “parmigiana di melanzane” ovvero crema di parmigiano-reggiano, sfoglia al nero di seppia, burrata, carciofo, crema di pomodoro e basilico; “gnocchi” di topinambur, tartufo nero, cipollotto, salsa di birra su letto di ricci di mare; coscia, filetto e petto di piccione, riduzione del suo sugo, funghi trombetta e mela cotogna ripiena di fegatini; sorbetto al mandarino con meringa scottata alla brace, kefir e yougurt al pino mugo; Bossolá (panettone tipico di Brescia) e crema di limone; piccola pasticceria. Tutto accompagnato da sfoglie di pane del forno Grazioli, probabilmente il migliore di Milano, grissini burrosi e uno straordinario burro di malga con polvere di pomodoro, reminiscenza del periodo trascorso dallo chef al Cristallo di Cortina d’Ampezzo.

Le “illusioni” sono generate da piatti che sembrano una cosa ma in realtà sono altro: li gnocchi non sono di patate, il riso non é fatto da chicchi di riso ma da ritagli di seppie, la Parmigiana non é una parmigiana, e così via. La sfera di fois gras di “The Stage” é stato il piatto dell’anno del vostro cronista. Cucina, servizio e location – ecco qui spiegata la citazione di Michel Guerard – si sono fusi magistralmente e hanno confezionato la nostra cena dell’anno. Milano negli ultimi anni ha ospitato ristoranti griffati e lussuosi zavorrati però spesso da una cucina incespicante. Piazza Gae Aulenti invece ha un ristorante, uno chef, una brigata di sala e di cucina assolutamente all’altezza della sua folgorante bellezza. “The Stage” non ha ancora la stella Michelin, ma già così com’é ne merita tranquillamente due.