Massimo Zamboni, uno spettacolo per riscoprire il comunismo

24 ottobre 2017 | 12:30
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Massimo Zamboni, uno spettacolo per riscoprire il comunismo

Debutta il 7 novembre, al Teatro Augusteo di Napoli, il comizio in musica “I Soviet + L’elettricita’”, cento anni di rivoluzione russa: un secolo di Cccp

REGGIO EMILIA – “Un corto circuito di idee”. È a questo che aspira Massimo Zamboni (foto), ex leader dei Cccp – Fedeli alla Linea prima e dei Csi (Consorzio Suonatori Indipendenti) poi, con il suo nuovo spettacolo “I Soviet + L’elettricita’” Cento anni di rivoluzione russa, un secolo di Cccp. Uno spettacolo che, ad usare le parole di Zamboni, e’ piu’ un “comizio” in musica – e non solo – per ripercorrere un pezzo della Storia del mondo dedicato a “tutti quelli che hanno voglia di pensare, che hanno voglia di sapere cosa e’ stato il nostro mondo e cosa ancora potrebbe essere. Che hanno voglia di relazionarsi con la nostra storia nel complessivo”.

L’evento vuole richiamare, come spiega Zamboni alla Dire, giovani e meno giovani con la formazione culturale piu’ varia perche’ dice: “non aspiro ad un pubblico di militanti che hanno le idee chiare e che pensino che la Rivoluzione di Ottobre sia stato il trionfo al quale non e’ seguito niente. Spero di avere un pubblico molto maturo. Aspiro a mettere in moto una serie di ragionamenti non solo con le canzoni ma anche con i filmati e la messa in scena. Gia’ il fatto di chiamare comizio lo spettacolo spero inneschi un corto circuito di idee”. Un progetto ambizioso che dal 7 novembre, con il debutto al Teatro Augusteo di Napoli, prendera’ vita per poi spostarsi in giro per l’Italia.

Pankow, Leningrad, Togliattigrad, la Cortina di Ferro, il Muro. E poi ancora, la Jugoslavia, la Cecoslovacchia. Nomi e parole, come comunismo e socialismo reale, che dai libri di scuola, dove sembrano essere state relegate, tornano in auge con “I Soviet + L’elettricita’” per assumere nuovi significati. “Affidarsi a queste parole – precisa Zamboni – e’ abbastanza inutile. Se pronuncio la parola comunismo non so esattamente cosa sto dicendo. Sono parole che il secolo ha provveduto a svuotare di significato e altrettanto hanno fatto i rappresentanti politici che hanno via via incarnato queste parole. Tanto che la distanza tra chi si sente rappresentante di quelle istanze e chi ne dovrebbe essere rappresentato e’ incolmabile. Non c’e’ nessuna vicinanza tra i leader politici e il popolo che portava la falce e il martello come strumenti di lavoro. Tra loro una distanza infinita. Bisognera’ aggiornare queste parole, credo, senza paura di pronunciarle. Mi sembra un esercizio abbastanza inutile professarsi di sinistra o dirsi comunista o socialista. Cercherei di scavare piu’ a fondo in questo”. I circoli e le case del popolo, tipici luoghi di aggregazione politica dell’Italia post bellica fino agli inizi del nuovo secolo, hanno lasciato spazio alla politica virtuale, alle consultazioni e ai confronti “social”.

I modi di fare politica sono oggi cambiati, sottolinea Zamboni, “penso che la politica sia un meccanismo di esclusione. È un arroccamento sempre piu’ dispotico e anche molto violento da parte di chi detiene le redini della politica rispetto a chi ne e’ rappresentato. La politica come la intendevo io era uno strumento di inclusione, una delle poche armi alle quali chi non poteva difendersi si affidava. C’era un meccanismo di protezione sociale o di aspirazione sociale che faceva si’ che i cittadini si sentissero rappresentati”.

L’ex leader del gruppo punk sottolinea poi che la parola ‘cittadino’ in Italia e’ “uscita solo nel dopoguerra, dalla Resistenza, quindi dalla fine di un’oppressione violenta e voluta”. E quella politica ha consegnato non solo “la possibilita’ di votare ma di essere rappresentati e di rappresentare, di essere ascoltati. In questi ultimi 20 o 30 anni questo meccanismo e’ andato rossichiandosi sempre di piu’. È molto difficile sentirsi cittadini. Questo ha determinato uno scollamento con la politica davvero incolmabile. Io non voglio essere rappresentato politicamente perche’ la politica non e’ piu’ in grado di assolvere questo compito. Non chiedetemi quali formule potrei trovare in alternativa perche’ non le saprei”.

I Cccp hanno legato il proprio nome piu’ che ad un Paese ad un’idea politica, un’utopia. Facile pensare che il gruppo sia stato musicalmente sconfitto proprio come l’Unione Sovietica lo e’ stata dalla Storia. “Conduco una vita molto privilegiata, faccio l’artista, posso scrivere, suonare, posso esprimere il mio pensiero”, confessa Zamboni.

“Vivo in un luogo bellissimo, molto sano e riposante. Se dovessi guardare solo al mio piccolo privato non ho nessuna possibilita’ di sentirmi sconfitto. Mi sento sconfitto se ragiono in termini collettivi perche’ vedo che tutto quello che erano i nostri sogni, non solo giovanili ma in termini di pensiero, di un pensiero che si tramanda da secoli, quello della Liberazione, quello dell’utopia. Allora e’ facile sentirsi sconfitti oggi dove queste parole non esistono piu’ nel nostro vocabolario quotidiano. Non pensiamo mai in termini utopici, non abbiamo mai un progetto verso il futuro, non pensiamo mai a una liberazione che non sia individuale. In questo senso siamo decisamente sconfitti, sotterrati”.

Ma il mondo non e’ solo individualismo, profitto, Internet e la sua velocita’, c’e’ ancora tanto da dire e da scoprire. Esiste ancora la possibilita’ di vivere ascoltando gli altri e l’ambiente che ci circonda perche’, conclude Zamboni, “le ragioni della mia vita sono molto piu’ durature di tutto questo, perche’ arrivano da molto lontano e sono proiettate molto piu’ lontano”.