Mafia e istituzioni, l’incredibile deposizione dell’ex questore

8 luglio 2017 | 21:45
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Mafia e istituzioni, l’incredibile deposizione dell’ex questore

Come hanno fatto le cosche a radicarsi nelle nostre terre? La sconvolgente testimonianza di Gennaro Gallo. “Rilevante che il questore dia una totale ignoranza del fenomeno mafioso”

REGGIO EMILIA – Suscita grande sconcerto la testimonianza resa dall’ex questore di

Reggio, Gennaro Gallo, al processo “Aemilia” contro i presunti esponenti della ‘ndrangheta radicata nel reggiano. Se qualcuno si fosse chiesto in questi anni perché a Reggio e dintorni sia stato possibile l’insediamento di alcune cosche senza che quasi nessuno desse segno di accorgersene, la risposta la si trova nelle parole di Gallo. Gli interrogatori a individui non indagati (sindaci, amministratori, imprenditori, politici, adesso l’ex questore) hanno rivelato che persone altrimenti considerate capacissime e valide, davanti alle domande incalzanti si sono mostrate di una dabbenaggine quasi incredibile. Quasi incredibile. Come facevano a non vedere cosa stava accadendo a Reggio? Come facevano a non sapere? Se lo sapevano tanti cittadini e i giornali lo scrivevano, come facevano a non essere cauti rispetto agli ambienti che frequentavano? C’era forse chi addirittura interloquiva con soggetti in odore di mafia pensando che fosse normale… C’era chi faceva l’addetto stampa di presonaggi ambigui, c’era chi ci andava a cena o in discoteca. C’è chi pensava a farsi dare dei voti strizzando l’occhio “ai calabresi”, c’è chi trattava la comunità calabrese come un bacino potenziale di consenso politico tale da fare iniziative ad hoc per ingraziarsene la benevolenza… e se poi ci scappava la stretta di mano al mafioso, pazienza. C’era chi dava subappalti a imprese poco pulite (costavano meno perché un ‘ndranghetista non ha problemi di liquidità o rivendicazioni sindacali da parte dei dipendenti), e chi comprava casa da loro perché costava poco. C’era chi ci trafficava assieme e chi prestava soldi alle cosce, chi ne era commercialista e chi il banchiere… Ma tutto filava liscio, se non fosse stato per articoli di giornale e qualche incendio doloso.
Ma cosa ha fatto scoppiare il bubbone? Probabilmente la crisi economica: quando non c’è più da costruire e cementificare la pianura reggiana; quando le imprese mafiose alzano la testa e non stanno più al loro posto; quando invece di accontentarsi dei sempre più miseri subappalti, i costruttori della ‘ndrangheta hanno cominciato a pretendere fette maggiori di un mercato sempre più asfittico (tanto che alcune delle coop storiche sono cadute come birilli una dopo l’altra), ecco che allora qualcuno ha capito che era ora di indagare a fondo e bene. Significative le parole captate nell’ambito delle indagini relative al consigliere Giuseppe Pagliani (centrodestra), il quale riferisce che Alfonso Paolini & compagni gli avevano detto “Fino a ieri noi gli portavamo lavoro, eravamo la ricchezza di Reggio. Con tutto quello che ne concerne. Oggi ci hanno buttati a terra via come se fossimo dei preservativi usati”. E allora non solo Pagliani parlava con Paolini, Brescia e “compagnia cantante”, ma lo stesso ex questore Gallo li invitava alla propria festa di congedo in Questura; andava a cena nel famigerato ristorante “Antichi Sapori” di Pasquale Brescia; accettava piccoli favori (lavori edili gratis), faceva piccoli favori (fare avere un porto d’armi altrimenti negato), si fidava ciecamente dell’autista Domenico Mesiano, poi condannato in primo grado a 8 anni e mezzo per concorso esterno in associazione mafiosa. E chissà quanti altri onesti cittadini reggiani hanno interloquito con i simpatici mafiosi calabro-reggiani… Se la magistratura non può raggiungerli perché una stretta di mano non è reato, sarà la Storia a decretare un giudizio sul loro nome e il loro operato.

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LA DEPOSIZIONE: Il questore in pensione Gennaro Gallo viene chiamato come teste dalla difesa di Alfonso Paolini e Pasquale Brescia, e viene interrogato sugli incontri con gli imputati, sulla cena nel ristorante “Antichi Sapori” con la quale salutava i colleghi reggiani prima di trasferirsi a Parma, sul suo ruolo di Questore di Reggio dal 2004 al 2008.

Ad un certo punto il pm Ronchi gli chiede: “Lei quindi non sapeva che Paolini era stato tratto in arresto in occasione dell’operazione “Grande Drago” (contro la cosca Dragone)?”. La risposta è “No”.

I “no”, i “non so” si susseguono fino a quando il presidente del collegio giudicante, Francesco Maria Caruso, sbotta: “E’ evidentemente rilevante che il questore del tempo in questo processo dia le risposte che ha dato da lei: totale ignoranza del fenomeno”
Gallo replica: “Non ero io che facevo le indagini, eh!?! Gli uffici della squadra mobile riferivano direttamente all’autorità giudiziaria”.
Caruso lo incalza: “Lei non verificava, non controllava?”. Gallo imbarazzato: “Sì per carità, io… io venivo a conoscenza, senz’altro.. Eeee…e hanno indagato su alcuni soggetti calabresi ma non le so dire chi siano”.
Caruso sconfortato ci riprova: “Alla fine di tutto questo, il suo ufficio aveva filoni investigativi concreti in questo ambito?”. Gallo con un filo di voce risponde: “In questo ambito credo di no”. Il presidente ritiene che sia abbastanza, e lo fa accomodare.

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La Cgil territoriale di Reggio  insieme a quella di Modena e quella regionale si sono costituite parte civile nel processo “Aemilia”. Nel loro sito web è stata attivata una sezione si possono leggere e scaricare i documenti relativi e le note stampa prodotte. Paolo Bonacini, ex direttore di Telereggio, per la Camera del Lavoro sta seguendo il processo e ha prodotto interessantissime cronache, commenti ed articoli. Significativo, a questo proposito, quello pubblicato il venerdì 7 luglio – “Un questore modello” – dove vengono riportati ampi stralci della deposizione di Gallo in Tribunale, così clamorosa che ha fatto dire al giudice Francesco Maria Caruso, presidente del Collegio giudicante di Aemilia: “Una totale ignoranza del fenomeno mafioso”, con lui che risponde: “A Bologna negli incontri periodici si parlava di criminalità organizzata, di infiltrazioni, in riferimento a Reggio l’associazione mafiosa Grande Aracri e in quel periodo si verificavano danneggiamenti tipici di questo modo di agire. Mai non sono mai stati fatti nomi: si delineava solo il fenomeno in generale”.
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