Sottomarino nucleare Usa arriva in Corea del Sud

25 aprile 2017 | 19:19
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Sottomarino nucleare Usa arriva in Corea del Sud

Lo Uss Michigan a reazione nucleare è nel porto di Busan. In Corea del Nord si celebra l’anniversario della fondazione del suo esercito

REGGIO EMILIA – La Corea del Sud afferma che un sottomarino statunitense a reazione nucleare è arrivato nel porto meridionale di Busan, ma non si prevede che parteciperà alle esercitazioni navali congiunte di Washington e Seul. Un funzionario della Marina sudcoreana ha detto oggi che lo Uss Michigan sta facendo una sosta di routine per far riposare il suo equipaggio e fare rifornimenti. Il sottomarino è arrivato lo stesso giorno in cui la Corea del Nord celebra l’anniversario della fondazione del suo esercito. Pyongyang marca spesso date significative con dimostrazioni di capacità militari e i funzionari sudcoreani ritengono il Nord possa prepararsi a un altro ciclo di test nucleari o missilistici Usa.

Corea del Sud e Giappone hanno concordato sulla necessità di “massimizzare la pressione” su Pyongyang per prevenire ulteriori provocazioni, nell’ambito delle ipotesi di un nuovo test nucleare o di un lancio di missile nel giorno dell’85/mo anniversario della fondazione delle Forze armate (Kpa). Lo ha annunciato Kim Hong-kyun, inviato speciale sudcoreano sulle vicende del Nord, dopo l’incontro avuto a Tokyo con le altre due controparti. Alla Cina, in quest’ambito, viene dato molto peso e capacità di manovra.

Gli Usa non escludono un raid contro la Corea del Nord se Pyongyang effettuerà un altro test nucleare: l’avvertimento arriva dall’ambasciatrice americana all’Onu, Nikki Haley, alla vigilia della festa del 25 aprile per gli 85 anni della fondazione della Korean People’s Army (Kpa), indicata come data del possibile sesto test nucleare nordcoreano. Ma ci sarà una risposta americana, ha aggiunto la Haley, anche nel caso del lancio di un missile balistico intercontinentale o di un attacco a un bersaglio americano, ad esempio una base o una nave americana. Come la portaerei che si sta avvicinando, la Uss Carl Vinson, con cui il Giappone e la Corea del Sud hanno annunciato manovre navali congiunte e che nei giorni scorsi Pyongyang ha minacciato di affondare con un colpo solo.

Anche il Pentagono ha lanciato il suo monito, chiedendo alla Corea del Nord di “astenersi da azioni provocatorie e da una retorica destabilizzante”. Il regime di Pyongyang “deve fare la scelta di rispettare i suoi obblighi internazionali e di tornare a partecipare a seri negoziati”, ha spiegato il portavoce Gary Ross, in un momento in cui la tensione è alimentata dall’arresto a Pyongyang di Kim Sang-duk, noto anche come Tony Kim, un professore americano di origine coreana: è la primi crisi di un ostaggio per l’amministrazione Trump. Intanto Donald Trump, ricevendo alla Casa Bianca gli ambasciatori dei 15 Paesi membri del Consiglio di sicurezza Onu – tra cui l’italiano Sebastiano Cardi – ha chiesto all’organismo delle Nazioni Unite di essere preparato a imporre nuove sanzioni alla Corea del Nord. “Lo status quo in Corea del Nord – ha sottolineato – è inaccettabile. E’ un grande problema mondiale che dobbiamo finalmente risolvere.

Per decenni la gente è rimasta con i paraocchi, adesso è il momento di risolvere il problema”. Il presidente continua anche a tessere la sua tela diplomatica, con un ennesimo giro di telefonate al presidente cinese Xi Jinping (che esorta all’autocontrollo e alla moderazione), al premier giapponese Shinzo Abe e alla cancelliera tedesca Angela Merkel. E si prepara il terreno in casa per eventuali azioni, ricevendo mercoledì alla Casa Bianca tutti i 100 senatori (fatto raro se non inedito) per informarli sugli ultimi sviluppi, presenti i segretario di stato Rex Tillerson, il capo del Pentagono James Mattis, il numero uno degli 007 Dan Coats e il capo di stato maggiore delle forze armate Usa Joseph Dunford. Tillerson presiederà inoltre una riunione del Consiglio di Sicurezza Onu sulla Nord Corea il prossimo 28 aprile. Trump continua a tenere sotto pressione anche l’Iran, non escludendo un’uscita dall’accordo sul nucleare, e la Siria, mettendo nella blacklist i 271 dipendenti del Centro di ricerca ritenuto responsabile dello sviluppo di armi chimiche, in risposta “all’orribile attacco contro civili innocenti”: si tratta di una delle cifre più alte di persone sottoposte a sanzioni nella storia degli Stati Uniti.