Dai PIR ai PAC, il fintech entra nelle case dei risparmiatori italiani

18 aprile 2017 | 14:41
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Dai PIR ai PAC, il fintech entra nelle case dei risparmiatori italiani

Le differenze di mercato e le varie proposizioni di prodotto offrono diverse opzioni ai risparmiatori

REGGIO EMILIA – Il panorama del fintech è sempre più sterminato. Le soluzioni a disposizione dei risparmiatori sono talmente tante che spesso si fa confusione a distinguerle o ad intuirne le diverse sfumature e i vantaggi sottesi.

L’ultima novità di mercato sono i cosiddetti PIR, i Piani Individuali di Risparmio a lungo termine, strumenti finanziari in grado sia di azzerare l’imposta sui redditi generati dall’investimento, sia l’esenzione dalle imposte di successione e donazione. Un vantaggio non indifferente per gli utenti, che potrebbero accedere all’intero ammontare di quanto prodotto dal titolo, bypassando alcune tasse tra le più criticate. Non mancano però le condizioni: i PIR sono detassati se il risparmiatore ne detiene la proprietà per almeno un quinquennio e con un valore massimo complessivo di 150mila euro. È quindi consigliabile pensare a questa soluzione solo nel caso in cui si ha una relativa certezza di non dover estinguere anticipatamente il piano, perché in caso contrario saranno dovute non solo le tasse, ma anche gli interessi.

In considerazione di vantaggi e criticità, però, i Pir, disciplinati dalla legge di bilancio 2017, costituiscono un’importante “stampella” a sostegno di un’economia reale italiana che è costituita principalmente da piccole e medie imprese. Nella situazione attuale di crisi perdurante, tali realtà faticano ad ottenere crediti, in virtù delle normative europee e dei loro severi requisiti. È importante evidenziare che i PIR prevedono investimenti per il 70% in strumenti finanziari di società che siano comprese nell’Unione Europea, purché l’organizzazione abbia una sede stabile in Italia – e quindi che le tasse siano pagate in Italia -. Già nel 2011, Assogestioni aveva suggerito all’allora governo Berlusconi di varare i PIR, ma ora, con la nuova normativa, ne beneficeranno anche le società di fintech non comprese nell’indice Ftse Mib, ma quotate in listini differenti come Aim.

Vista la contiguità di prodotto, però, in tanti hanno confuso i PIR con i PAC, i “classici” piani d’accumulo di capitale. La differenza principale sta nel pubblico a cui tali strumenti sono rivolti: i PIR chiamano in causa soggetti fisici collegati ad attività commerciali di piccola o media entità, mentre i PAC riguardano qualsiasi tipo di risparmiatori che vogliano assicurarsi un introito extra da quanto riescono ad accumulare nel corso degli anni. La principale caratteristica dei PAC risiede in una sottoscrizione anche con pochi centinaia di euro, e una certa flessibilità decisionale lasciata al cliente, che può optare per un investimento rateizzato e per una durata complessiva del piano. Per conoscere il valore totale del PAC, basterà moltiplicare il numero dei versamenti per l’importo della singola rata: si parte da un valore minimo di 25 euro, a fronte però di un numero minimo di rate.

I piani di accumulo capitale hanno come variabili anche le spese di sottoscrizione, commisurate all’importo investito con l’aggiunta di particolari aliquote, mentre per quel che concerne l’uscita, le commissioni decrescono progressivamente con il passare degli anni. Tali costi sono azzerati nel caso in cui la company fintech, per fidelizzare i propri clienti, decida di non prevederli. Ai PAC sono anche associati i diritti fissi, ossia le percentuali da retrocedere all’azienda, che possono anche gravare in maniera importante sul valore dell’investimento. Le differenze di mercato e le varie proposizioni di prodotto offrono diverse opzioni ai risparmiatori, che possono decidere di investire parte dei propri risparmi o del proprio patrimonio commerciale per assicurarsi un guadagno nel tempo.