Crisi coop, Del Bue: “Prampolini si gira nella tomba”

2 aprile 2017 | 19:49
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Crisi coop, Del Bue: “Prampolini si gira nella tomba”

“Sembra di rivivere la fase subito seguente la chiusura delle Reggiane del 1951 che provocò una crisi occupazionale di dimensioni catastrofiche”

REGGIO EMILIA

di Mauro Del Bue
Dopo la morte delle grandi cooperative Cmr, Coopsette, Orion e Unieco (70 milioni di prestiti sociali, 4800 soci coinvolti, 1480 dipendenti senza lavoro e trecento piccole imprese dell’indotto sul lastrico), da non dimenticare anche la liquidazione del Ccpl, é facile tornare col pensiero alle origini. Per chi ha studiato e scritto la storia del socialismo reggiano non é difficile riassumere i valori che stavano alla base della nascita e dello sviluppo del movimento cooperativo. Reggio Emilia divenne la provincia cooperativa già agli inizi del secolo scorso dopo che una prima esperienza aveva preso piede in città, quella del professor Contardo Vinsani, già nel 1880, e seguiva il felice sviluppo di quella, più uno spaccio per soci che una vera e propria cooperativa, che già prima aveva iniziato a insediarsi nella villa di Rivalta. Quando nel 1886 Vinsani fu costretto a lasciare Reggio, quella cooperativa fallì. E alcuni soci ci rimisero del loro.
Non é dunque vero che il fallimento delle cooperative sia un evento solo dei giorni nostri. Restano alcune differenze di non poco conto. Quella cooperativa era gestita per non creare utili, dunque senza il cosiddetto ristorno, o metodo inglese. Dunque aveva lo scopo di vendere i prodotti a minor costo per alleviare la popolazione indigente e nel contempo per sfidare il commercio privato che intendeva gradualmente sostituire. Impresa titanica, di segno politico, che le banche e la borghesia del tempo osteggiarono e che costrinsero alla resa. La funzione della cooperazione di consumo, cui seguirono le prime cooperative di lavoro, era dunque quella di creare un modello alternativo di società, modello che in qualche misura si rispecchiava nella vita dei suoi dirigenti. Umile, essenziale. E di sostituire il sistema privato, come disse il grande leader cooperativo Antonio Vergnanini al congresso del Psi del 1904.
Il mondo cambia e muta abitudini e costumi. Agli inizi degli anni ottanta il movimento cooperativo volle definirsi “un sistema di imprese”. Eppure tutti i vertici delle cooperative, compresi ovviamente i livelli associativi e federativi, erano decisi dai partiti. Laddove c’era un presidente comunista, ecco un vice socialista e viceversa. Poi entrarono, con qualche scarsa responsabilità, anche i repubblicani che in Romagna mantenevano una loro organizzazione distinta. Per tutti gli anni ottanta e fino all’eclissi del vecchio sistema politico la cooperazione, soprattutto quella di lavoro, ma anche quella dei servizi, si resse anche, o soprattutto, per gli appoggi dei partiti di riferimento, per gli appalti vinti, a volte addirittura pilotati, dalle amministrazioni locali. Questo più o meno ovunque in Italia.

A Reggio i partiti di sinistra non avevano bisogno di truccare gli appalti e le tangenti per questo non erano pratica corrente come altrove. Facevano tutto loro, le cooperative. Ad un dato momento anche il quadro dei concorrenti dipendeva da loro, che poi ricambiavano altrove. I partiti traevano il vantaggio dalle assunzioni politiche e da qualche finanziamento in occasione delle feste e delle elezioni. Negli anni novanta é cambiato il sistema. Finita la supremazia della politica sulla cooperazione si è fatto affidamento sulla esclusiva capacità manageriale dei suoi dirigenti.

La crisi economica, soprattutto quella edilizia, degli anni duemila, ha costretto le imprese cooperative a scelte d’indirizzo strategiche fondamentali. A Reggio Emilia le cooperative edili hanno fatto affidamento sull’inarrestabilità della crescita della popolazione. Reggio é il solo comune dell’Emilia-Romagna ad avere aumentato i suoi abitanti negli ultimi vent’anni, passando addirittura da 130mila a 172mila, con una forte presenza di immigrati e di popolazione proveniente dalla calabrese Cutro, quasi tutti impiegati nell’edilizia. Seguendo questo impulso alla crescita la Cmr ha compiuto l’errore dell’investimento di parco Terrachini con una previsione folle di 6mila nuovi appartamenti. Dal canto suo Orion ha bocciato come operazione anti economica quella del centro commerciale I Petali, lasciata fare ai privati, che si é rivelato il più grande affare degli ultimi decenni e si é impegnata senza garanzia nella costruzione di impianti per le Olimpiadi invernali di Torino! Misterioso abbaglio.

Non so il motivo dell’apertura di un grande cantiere di Coopsette sul Lago di Garda oggi in mano all’autorità giudiziaria, né il presupposto per investire su un’area di un milione di metri quadri tra Verona e Brescia per una fantomatica città dell’auto. Conosco il gigantismo di Unieco, con una sede faraonica e più grande di quella di un ministero. Questa cooperativa, la prima di produzione e lavoro, nata nel 1890, ha pensato bene in questi anni di continuare a investire sulla costruzioni. Resta il fatto che mentre Cmc di Ravenna diversificava i suoi investimenti puntando sull’estero e sulle infrastrutture, mentre Cmb di Carpi svoltava verso il sanitario (costruendo e gestendo) le nostre cooperative sono rimaste ferme. Sbattendo la testa contro il muro.  E facendo la fine di decine di imprese medio-piccole esistenti sul territorio. Così nel ramo cooperativo sopravvivono nella provincia di Reggio solo Tecton e la cooperativa Cattolica, mentre nel ramo privato tra le poche!
Tuttora esistenti sono la Gigli, la Cattolica, la Montanari e la Coesi. Tutto il resto é andato in fumo.

Sembra di rivivere la fase immediatamente seguente la chiusura delle Reggiane del 1951 che provocò una crisi occupazionale di dimensioni catastrofiche, oltre tutto drammaticamente accentuata dall’alluvione del Po. Ma due sono le differenze non di poco conto. La prima è che la responsabilità della crisi delle Reggiane non poteva essere attribuita al sistema politico ed economico reggiano. La seconda é che da quella crisi nacque un modello di sviluppo nuovo, fondato sulle piccole imprese che hanno fatto la ricchezza del nostro territorio. C’e qualcuno oggi che si sta occupando, anche dal punto di vista storico-culturale, di cosa sostituirà il vecchio modello cooperativo, col suo intreccio con un sistema di piccole aziende quasi tutte in crisi? Per il momento l’unica conseguenza é l’arricchimento di qualche centinaia di dirigenti e l’impoverimento dei soci e dei dipendenti. Il contrario dell’etica cooperativa delle origini, per tornare a Prampolini…