Sicurezza, una rete social contro il crimine

22 febbraio 2017 | 17:08
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Sicurezza, una rete social contro il crimine

Siglato un patto in prefettura. I cittadini potranno segnalare alle forze dell’ordine le criticita’ del territorio attraverso le nuove tecnologie, WhatsApp in primis. Vecchi: “E’ il contrario delle ronde”. Gabrielli: “Pagina nuova su sicurezza urbana”

REGGIO EMILIA – Cittadini non “vice sceriffi”, ma “antenne della sicurezza urbana”. Per segnalare alle forze dell’ordine le criticita’ del territorio attraverso le nuove tecnologie, WhatsApp in primis. È il cuore del nuovo protocollo di intesa sul “controllo di vicinato” siglato oggi a Reggio Emilia tra Comune e Prefettura alla presenza del capo della Polizia di Stato, il prefetto Franco Gabrielli. L’atto firmato nel Comune capoluogo, che arriva due giorni dopo la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del nuovo decreto legge sulla sicurezza nelle periferie cittadine, potrebbe a breve estendersi anche ad altre amministrazioni come Correggio, Scandiano e Montecchio, che hanno gia’ richiesto di sottoscriverlo.

Punto centrale del documento, come detto, la creazione di gruppi di cittadini che, previa adesione ad un apposito disciplinare della Prefettura, entreranno a far parte di una rete deputata alla sorveglianza diffusa e alla comunicazione con gli organi di polizia. Questi ultimi metteranno invece in campo iniziative di formazione sul modo corretto di segnalare situazioni anomale, per non inceppare il meccanismo con informazioni prolisse o allarmistiche. Con il Comune, spiega il prefetto di Reggio, Raffaele Ruberto, “pensiamo anche ad una cartellonistica che indichi le zone sottoposte a ‘controllo di vicinato’ e ad iniziative culturali e sociali per favorire la nascita di questi gruppi”.

Prosegue Ruberto: “Con questa firma diamo vita ad un vero e proprio ‘patto’ con la comunita’, per promuovere la legalita’, il dialogo con i cittadini e lo sviluppo del senso civico, attraverso un controllo come quello proprio delle vecchie comunita’ contadine in cui ad esercitarlo era la stessa societa’”. Un modello “che oggi aggiorniamo con strumenti moderni come i social network, per far si’ che non siano solo un luogo di chiacchiere ma uno strumento proficuo. E per rinnovare quel legame con i cittadini, che si e’ un po’ lasciato andare, che devono tornare a sentire la cosa pubblica come propria”.

Gabrielli, dopo aver chiarito come l’iniziativa rientri nel modello della cosiddetta “sicurezza partecipata”, puntualizza: “Questo tipo di sicurezza non presuppone una forma di subdola delega, nel senso che chi e’ deputato a garantire la sicurezza non delega a qualcun altro funzioni che sono esclusivamente e primariamente riferite alle istituzioni. In questo tipo di sicurezza partecipata che non e’ delegata ognuno svolge per quelli che sono i propri compiti e le proprie funzioni, la propria presenza sul territorio e con un ruolo preciso”. Per il capo della polizia “e’ anche un modo in cui la comunita’ si riappropria delle forze dell’ordine. Un modo che qualifica le forze dell’ordine che non sono qualcosa di altro dai cittadini, ma primariamente parte dei territori”.

Nel protocollo pero’ Gabrielli vede anche dei rischi e li esterna per scongiurarli: “Il rischio, quando si immagina una partecipazione di questo tipo e’ che il flusso di informazioni che arrivano sortisce l’effetto esattamente contrario di quello sperato. È allora centrale la parte del protocollo che sottolinea l’importanza della creazione e della formazione di gruppi che possono essere, quelli si’, non un randomico e alluvonale effluvio di informazioni che poi rischiano soltanto di produrre il famoso al lupo al lupo. Le informazioni vanno selezionate, vanno certificate e quindi e’ opportuno che questi gruppi siano creati all’interno di questo contesto”.

Anche per evitare “l’effetto perverso che e’ quello della frustrazione dell’esito di una segnalazione. Sono convinto che qualcuno di piu’ smart o malizioso calcolera’ il tempo tra la telefonata e l’intervento: quello e’ il modo peggiore per svalutare e vanificare uno strumento che deve essere correttamente utilizzato”.

Conclude Gabrielli: “Oggi a Reggio Emilia si prova a scrivere una pagina diversa sulla sicurezza urbana, in un territorio sano dove la gente denuncia tutto”. Il sindaco Luca Vecchi evidenzia: “È l’esatto contrario delle ronde, che non sono la soluzione ai problemi sicurezza, penso che non siano nella coscienza diffusa di questa comunita’ e certamente non sono nella volonta’ delle istituzioni. Per quanto mi riguarda sono politicamente lontano. Noi vogliamo praticare un’idea completamente diversa e cioe’ di come condividere con i nostri cittadini le risposte da dare alla citta’”.

Per il primo cittadino pero’ “e’ giunto il momento di valutare pene piu’ severe per i reati predatori e dare maggiore certezza della pena dando un significato alla parola carcerazione”. Sulla stessa linea il presidente della Provincia Giammaria Manghi: “La certezza della pena non e’ piu’ un tema di sensibilita’ politica ma di realismo, per non vanificare gli sforzi fatti sulla sicurezza come quello compiuto oggi”.

Il sindaco Vecchi ha detto infine che incontrera’ in municipio i residenti del quartiere di Fogliano, dove la settimana scorsa si sono verificati tre furti di fila in abitazioni. Vecchi rivendica tuttavia il lavoro fatto dall’amministrazione in questi anni, con particolare riferimento agli incontri con i comitati e i patti con i cittadini firmati in alcune zone “calde”, con in testa quella della stazione ferroviaria. “La stazione – dice il sindaco – non era Beverly Hills e non lo e’ neanche ora, ma ha fatto dei passi in avanti”. Il sindaco resta comunque convinto “che la sicurezza non si crea militarizzando i quartieri, ma facendo politiche di comunita’”. (Fonte Dire).