Referendum, Mora: Renzi rischia di fare la fine della Clinton

9 novembre 2016 | 19:09
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Referendum, Mora: Renzi rischia di fare la fine della Clinton

Il segretario provinciale della Cgil: “La gente sta sempre peggio e il premier vara riforme neoliberiste. Come Hillary è espressione dei poteri forti. La gente si rivolterà come negli Usa”

REGGIO EMILIA – “Abbiamo una riforma costituzionale che vuole consegnare ancora più potere al governo e ridurre il ruolo del Parlamento. La gente si sta rivoltando contro questa cosa. Lo ha fatto in America, non votando la Clinton, che è espressione dei poteri forti, e potrebbe farlo in Italia con Renzi”. Il segretario provinciale della Cgil, Guido Mora, traccia un parallelismo fra le elezioni Usa dove ha vinto Trump e il voto del 4 dicembre sul referendum costituzionale proprio alla vigilia dello spettacolo che staserà porterà Travaglio al Lime Theatre per il suo spettacolo sulle “bugie del Referenzum”.

Mora, perché la Cgil critica questa riforma?
“Critichiamo la riforma costituzionale relativamente al tema dell’equilibrio dei poteri e della redistribuzione dei compiti fra Stato e Regioni. Non ce l’abbiamo in particolare con Renzi, perché avevamo espresso perplessità anche sulla quella di Berlusconi, a suo tempo. A nostro parere questa riforma non si inserisce nella tradizione antifascista di questo Paese, dato che è stata approvata da un Parlamento succube al governo. Calamandrei diceva che, quando si fa una revisione costituzionale, dovrebbe essere realizzata dal Parlamento e il governo non dovrebbe neanche occuparsene. Noi pensiamo che questo non sia accaduto. Questa è una riforma che divide il Paese”.

Una riforma che molti criticano, soprattutto alla luce dell’Italicum, la nuova legge elettorale. La pensa anche lei così?
Sì, questa legge elettorale dà al premier il controllo del Parlamento con una maggioranza schiacciante e i capilista bloccati che vengono nominati direttamente da lui. Si va verso una soluzione che vede un uomo solo al comando, con effetti a cascata sull’elezione del Csm e degli organi parlamentari. In questo modo si riducono gli spazi di democrazia.

Crede che possano servire le aperture fatte recentemente a Cuperlo?
No, quella è solo un’operazione tattica truffaldina che promette di modificare in futuro la legge elettorale tramite un protocollo firmato oggi che non ha un gran valore.

Parliamo del voto americano. Ha vinto Trump. Lei se lo aspettava?
La crisi ha prodotto un peggioramento delle condizioni di vita delle persone che hanno paura di perdere quello che hanno conquistato. Una classe media impoverita, la disoccupazione, il problema dell’immigrazione, con una parte sempre più piccola di persone che si arricchiscono sempre di più, mentre gli altri sono sempre più poveri. In questi momenti di disperazione arriva uno come Trump.

C’è qualcuno che ha visto quello che è accaduto nelle elezioni Usa come uno scontro fra classi sociali. I ricchi e i privilegiati che lavorano nelle grandi città, nella finanza e nel terziario avanzato, contro la working class dell’America profonda. Lei è d’accordo?
Sì e vedo dei parallellismi fra quello che è successo negli Usa e in Inghilterra, con la Brexit e con quello che accade in Italia con il referendum. I nostri governi hanno attuato pedissequamente le direttive della Bce, di J.P. Morgan e delle multinazionali con i governi Monti, Letta e Renzi che hanno impoverito sempre di più la popolazione. Ora abbiamo una riforma che vuole consegnare ancora più potere al governo e ridurre il ruolo del Parlamento. La gente si sta rivoltando contro questa cosa. Lo ha fatto in America, non votando la Clinton, che è espressione dei poteri forti, e potrebbe farlo in Italia.

Sì, ma probabilmente Trump non risolverà i loro problemi
No, certo. Lui recita il ruolo dell’uomo contro l’establishment, ma i suoi amici Repubblicani lo porteranno presto a più miti consigli. Tuttavia ha preso i voti promettendo che avrebbe risolto i problemi della gente più povera e sfiancata dalla crisi. E se questo avviene in un Paese come gli Usa, dove la crescita è decisamente superiore all’Italia, si figuri cosa può accadere in Italia. Con Sanders al posto della Clinton, io credo che l’esito sarebbe stato diverso.

Eppure c’è che dice che è meglio votare Renzi, perché è il meno peggio. Lei non è d’accordo?
Guardi, c’è un filo rosso che lega tutti i provvedimenti di questo governo che prima ha parlato di rottamazione e ora parla di modernizzazione del Paese. Renzi sta realizzando delle politiche neoliberiste che Berlusconi non sarebbe mai riuscito a portare a termine: il jobs act, l’abolizione dell’articolo 18, i condoni fiscali, gli sgravi alle imprese sulle tasse. La riforma costituzionale porta a un rafforzamento dei suoi poteri, ma questo non risolve i problemi del Paese.

L’obiezione che molti fanno è che il no alla riforma indebolirebbe Renzi e consegnerebbe il Paese in mano ai Cinque Stelle. Lei mira a questo?
Renzi deve cambiare le sue politiche se vuole che questo non accada. Non può blandire Confindustria e snobbare il sindacato. Lui ha sbagliato a personalizzare il referendum facendone un voto pro o contro di lui. Continuerà ad avere problemi anche se vince il sì. Noi diciamo no, anche perché vogliamo che ponga fine a questo suo modo di fare arrogante che divide il Paese. Se perde non succede niente. C’è un presidente della Repubblica che deciderà quello che deve fare. Forse questo potrebbe almeno convincerlo a rivedere le sue posizioni su molti temi.