Aemilia, ecco il “romanzo criminale” del primo pentito

28 ottobre 2016 | 15:41
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Aemilia, ecco il “romanzo criminale” del primo pentito

D’Amato ha raccontato oggi in aula una storia di Vendette, tradimenti, riti di affiliazione, legami con i servizi segreti ed efferati omicidi a sangue freddo con corpi bruciati

REGGIO EMILIA – Vendette, tradimenti, riti di affiliazione, legami con i servizi segreti ed efferati omicidi a sangue freddo con corpi bruciati. Ci sono tutti gli elementi di un vero e proprio “romanzo criminale” nelle dichiarazioni di Alessandro D’Amato, primo pentito di ‘ndrangheta a testimoniare oggi nell’aula del processo Aemilia.

Nella testimonianza resa in Tribunale a Reggio Emilia protetto da un paravento, D’Amato, che dal 2010 e’ un collaboratore di giustizia, ha in particolare ricostruito i rapporti tra le cosche della Camorra di Melfi e quella operante in Emilia, di cui lo stesso D’Amato divento’ affiliato come “sgarrista”, abbandonando il clan camorristico di provenienza dei Cassotta. Quest’ultimo era in lotta con un altra consorteria, il clan Di Muro, in una faida scatenata dall’omicidio nel 1990 di un fratello del boss Marco Cassotta da parte dei rivali.

E proprio per vendicarlo Cassotta, insieme al suo sottoposto ma anche “amico intimo e compare” D’Amato, decide di rivolgersi ai fratelli Nicola e Gianluigi Sarcone. L’obiettivo e’ infatti quello di eliminare un esponente del clan rivale, Vincenzo di Muro, che si trovava a Forlimpopoli, cioe’ in Emilia, zona di influenza dei Sarcone. Inoltre “in carcere i Sarcone avevano fama di essere potentissimi – dice D’Amato- Cassotta aveva un occhio fine per queste cose”.

Il primo contatto per costruire l’alleanza tra D’Amato, Cassotta e i Sarcone avviene di fronte al carcere di Matera. A questo seguono altri incontri, spiega il pentito, direttamente a Reggio Emilia a casa della sorella di Sarcone e a Cutro a casa della madre. Si discute sempre dello stesso argomento: l’eliminazione di Di Muro. In un’occasione, Cassotta invia anche in “dono” ai futuri alleati una macchina sportiva (una lancia Delta) e una mitraglietta Skorpion, consegnata da D’Amato a Nicola Sarcone.

I rapporti con i Sarcone, cosi’ faticosamenti costruiti, non saranno pero’ mai sfruttati. Nel 2007 infatti D’Amato tradisce il suo “amico intimo” alleandosi con i Di Muro, uccide Marco Cassotta e ne brucia il corpo, per poi diventare collaboratore di giustizia. “Io abitavo in provincia di Pisa, lui voleva che tornassi a Melfi. Mi disse: ”O sei con me o sei contro di me” e capii che voleva uccidermi”, spiega D’Amato.

Racconta in particolare D’Amato: “Feci la scissione con i Cassotta, visto che voleva la mia morte, siccome Ligatti volevano la morte di tutta la famiglia dei Cassotta, io mi sono alleato con il gruppo Di Muro e Ligatti. Siccome a Marco Cassotta ci fu un precedente, un omicidio che fece, giustificandosi “è partito un colpo dal fucile”. Era un suo amico stretto, un autista. Questo ragazzo lo ammazzò e lo misero nell’acido. Sapendo questo, ho pensato che questo prima o poi me la fa pagare. I Di Muro erano cugini di mia moglie e mi stavano sempre dietro. Io avevo bisogno di aiuto e immediato”.

Particolare nel racconto del pentito anche il rimando del rito di affiliazione alla ‘ndrangheta che consiste nell”incisione di una croce (il cosiddetto “sgarro”) sul pollice della mano destra. D’Amato decise di passare dalla Camorra alla ‘ndrangheta perche’ sospettava che un suo “superiore”, Antonio Cosidente, collaborasse con il Sisdi e potesse denunciarlo per gli omicidi compiuti in passato.

Prima del collaboratore di giustizia si e’ invece seduta sul banco dei testimoni la curatrice fallimentare della di Sice di Gualtieri, societa’ perno nel cosiddetto “affare delle piastrelle”. Un caso emblematico di come la cosca, tramite false fatturazioni e artifici contabili incamerasse fiumi di denaro illecito. Ad assistere al processo per la prima volta, questa mattina, la consigliera regionale del Pd Silvia Prodi (Fonte Dire).