“Riforma Costituzione, la spallata decisiva a quel che resta della sinistra”

10 settembre 2016 | 00:33
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“Riforma Costituzione, la spallata decisiva a quel che resta della sinistra”

L’accusa: “Esiste un progetto di meccanismo istituzionale non “più semplice”, bensì più favorevole all’esecutivo e al capo del medesimo, più svincolato da percorsi di controllo e di garanzia, a prescindere dalla reale rappresentanza dei cittadini”

REGGIO EMILIA – “Nelle intenzioni dei poteri economici che contano e dell’attuale gruppo dirigente del Pd – non dei quaquaraqua sempre allineati al capo di turno, chiunque sia il capo e qualunque cosa dica, ma certo di coloro che indicano il percorso e tirano le fila – la battaglia per questa riforma della Costituzione ha un obiettivo concreto, al di là delle stesure maldestre e pasticciate (ammesse ieri sera a Reggio anche dalla senatrice Finocchiaro). Ma contemporaneamente e soprattutto ha un obiettivo politico più complessivo: dare la spallata definitiva alle radici culturali e politiche, ai mondi sociali di riferimento, alla esistenza stessa di quella che fu la sinistra.

Se così non fosse, non si capirebbe per quale motivo sia stata innescata e portata avanti una battaglia così aspra e divisiva. In fondo, pur a Costituzione vigente, già da anni in Italia si formano governi e si realizzano politiche al di fuori di qualsiasi mandato elettorale. Da Monti a Letta a Renzi, nessuno ha mai chiesto e ottenuto dagli elettori un voto su un programma, uno schieramento, una leadership. A Costituzione vigente, sono state possibili parecchie leggi e “riforme”, secondo alcuni formidabili, secondo altri pessime e regressive. A Costituzione vigente, l’attuale capo del governo e del Pd racconta di aver risanato e rilanciato il Paese, dato da bere agli assetati, da mangiare agli affamati, da vestire agli ignudi, con inedite velocità ed efficacia. A Costituzione vigente.

Perchè, allora, lanciarsi in questa avventura? Per risparmiare una elemosina di euro sul numero dei senatori? Per mandare in parlamento un po’ di consiglieri regionali e di sindaci, senza che neanche si sappia esattamente come e da chi verranno eletti o nominat (“Mi auguro che….” ha detto ieri sera la sentarice Finocchiaro)i? Per abolire il Cnel, che per altro tutti dicono di voler abolire? Non scherziamo. Da una parte, esiste un progetto di meccanismo istituzionale non “più semplice”, bensì più favorevole all’esecutivo e al capo del medesimo, più svincolato da percorsi di controllo e di garanzia, a prescindere dalla reale rappresentanza dei cittadini. Nell’accoppiata con la legge elettorale detta Italicum, la cosa diventa evidente a chiunque abbia voglia di vedere. Dopo di che, si può essere d’accordo oppure no: l’importante è avere gli occhi e le orecchie aperti.

Dall’altra, altrettanto e più evidene è il senso politico generale dell’operazione. Al netto del teatrino partitico di superficie – ove ognuno recita la sua parte: Pd e satelliti che la sostengono, partiti di opposizione che la contrastano – bisogna prestare attenzione a come si muovono altri attori sociali ed economici. A come si schierano serenamente e conseguentemente Marchionne, Confindustria, soggetti della finanza anche internazionale. A come si schierano – non senza sofferenze e lacerazioni che derivano da una storia antica di “collateralismo”, da tempo agonizzante ma in parte sopravvissuta alla scomparsa del “Partito” – organizzazioni come Anpi, Arci, Cgil.

Per questo, comunque vada a finire, il referendum rappresenta un giro di boa radicale. Il gruppo dirIgente attuale del Pd la sua scelta l’ha fatta e non tornerà indietro. Chi non la condivide, ha lo strumento per dirlo. A ognuno il suo, ma nessuno faccia finta di non saperlo”.