Processo Yara, ergastolo a Bossetti

2 luglio 2016 | 02:45
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Processo Yara, ergastolo a Bossetti

Massimo Bossetti

BERGAMO –  Ergastolo e pene accessorie durissime a Massimo Bossetti per l’omicidio di Yara Gambirasio. Lo hanno deciso dopo 10 ore di discussione nel segreto della camera di consiglio i giudici della Corte d’assise di Bergamo, presieduta da Antonella Bertoja. L’imputato era accusato del reato di omicidio volontario aggravato dalla minorata difesa della vittima e dalle crudeltà e dalle sevizie.
Bossetti dovrà risarcire anche un milione di euro alle parti civili: i genitori e i fratelli e sorelle di Yara. Inoltre la Corte ha stabilito per lui l’interdizione legale dell’intera durata della pena e la sospensione della potestà genitoriale, in relazione ai suoi tre figli (oggi minorenni).
Il 13 maggio scorso il pm Letizia Ruggeri aveva chiesto per il muratore di Mapello il carcere a vita con sei mesi di isolamento diurno.

La 13enne di Brembate di Sopra (Bergamo) era scomparsa il 26 novembre 2010 dopo essersi recata alla palestra dove svolgeva gli allenamenti di ginnastica artistica e venne trovata morta tre mesi dopo, in un campo incolto sito in una zona industriale non lontana da Brembate. L’autopsia ha rivelato che la ragazzina era stata accoltellata, e che la morte è sopravvenuta dopo l’abbandono della vittima sanguinante all’addiaccio.

Come noto, gli inquirenti sono arrivati ad individuare Massimo Bossetti al termine di una campagna senza precedenti di analisi del Dna, comparando il codice genetico di migliaia di abitanti della zona di Brembate con quello estratto dalle tracce organiche rinvenute sulle mutandine tagliate della vittima.

“Sarò uno stupido, sarò un cretino, sarò un ignorantone ma non sono un assassino”, aveva invece detto ieri mattina Bossetti nelle sue dichiarazioni spontanee, prima che i giudici si riunissero in camera di consiglio. L’uomo, impietrito durante la lettura del verdetto, ha poi alzato gli occhi al cielo e mormorato “Non è giusto, è una mazzata, avevo fiducia nella giustizia. Non è possibile, è allucinante. Non sono stato io”.
I suoi difensori, avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini, faranno sicuramente ricorso: l’inattendibilità dell’esame del Dna è il loro cavallo di battaglia.
In aula era presente anche la moglie dell’imputato, Marita Comi, scoppiata in lacrime alla lettura del verdetto.