Migrante ucciso per difendere la compagna, fermato ultrà

7 luglio 2016 | 13:54
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Migrante ucciso per difendere la compagna, fermato ultrà

Emmanuel e Chinyery erano sfuggiti a Boko Haram e alle stragi di cristiani in Nigeria. Lei aveva abortito durante il viaggio per l’Italia. Un prete Caritas li aveva sposati informalmente

FERMO (Marche) – Era sfuggito alle stragi di Boko Haram in Nigeria, è stato ucciso in Italia da un ultrà mentre difendeva la compagna dagli insulti razzisti. E’ una vicenda sconvolgente, quella Emmanuel Chidi Namdi, il richiedente asilo nigeriano pestato a morte il 5 luglio a Fermo. Con l’accusa di omicidio preterintenzionale – con l’aggravante della finalità razziale – nelle scorse ore è stato fermato Amedeo Mancini.

Nel centro di Fermo, sul lungomare, l’ultrà aveva aggredito la ragazza prima con insulti (“scimmie africane”), poi strattonandola. Secondo una ricostruzione delle forze dell’ordine, Emmanuel avrebbe reagito impadronendosi di un paletto staccabile della segnaletica stradale con cui avrebbe colpito il tifoso, un 35enne già noto alle forze di polizia e sottoposto a Daspo, facendolo cadere a terra. Rialzatosi, quest’ultimo lo avrebbe raggiunto con un pugno al viso, facendolo stramazzare: nella caduta Emmanuel ha battuto la testa e sarebbe poi stato colpito ancora.

Ora la ragazza – Chinyery, di 24 anni – è stata trasferita dal seminario vescovile di Fermo, dove era ospite con il fidanzato, in un’altra struttura di accoglienza. ”E’ seguita dai medici, e da alcune suore. Cerchiamo di farle coraggio, ma in Italia ormai è completamente sola, non ha parenti, nessuno”, dicono.

Ieri il ministro dell’Interno Angelino Alfano si è recato a Fermo per partecipare alla riunione del Comitato per l’ordine e la sicurezza in Prefettura. Al termine ha dichiarato che Chinyery è stato concesso lo status di rifugiata; Alfano ha ricordato che la donna aveva sostenuto l’esame per il riconoscimento dello status in maggio.

Emmanuel e Chinyery erano stati accolti dalla Fondazione “Caritas in veritate”, guidata da don Vinicio Albanesi, lo scorso novembre. Erano in fuga dalla Nigeria, dove avevano perso tutti i loro familiari in uno degli attacchi alle chiese cristiane da parte di Boko Haram e per arrivare in Italia avevano superato altre violenze in Libia. Una traversata che era costata la vita al bimbo che lei portava in grembo, ma che li aveva portati a sperare di un futuro migliore. Don Vinicio in gennaio li aveva uniti informalmente, per mancanza di documenti, in matrimonio.