Ex Unigreen, gli operai dicono no al “trasloco” in Friuli

2 luglio 2016 | 17:05
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Ex Unigreen, gli operai dicono no al “trasloco” in Friuli

La proprietà intende chiudere lo stabilimento di via Rinaldi e trasferire la produzione. Incentivo di 500 euro a chi si sposta: “E’ di fatto un licenziamento”

REGGIO EMILIA – No al trasferimento in Friuli. Questa mattina gli operai dello stabilimento Unigreen della Maschio Gaspardo, a Roncocesi, hanno votato in assemblea di trasformare lo sciopero ad oltranza in un presidio permanente dentro la fabbrica, giorno e notte, da attuare insieme al blocco delle merci.

“La direzione della Maschio Gaspardo il 30 giugno, in un incontro durato meno di dieci minuti – speiga dichiarato il sindacalista Simone Vecchi (Fiom) – ha comunicato la volontà di chiudere dal primo settembre lo stabilimento in cui lavorano 35 persone, e trasferire la produzione a Morsano, in Friuli Venezia Giulia, a circa 300 km di distanza. L’azienda offre ai lavoratori un incentivo di circa 500 euro lordi al mese per due anni, a compensazione del disagio. Una proposta inaccettabile”.

“Fino a quando non si troverà un accordo non uscirà un bullone – ha aggiunto – i lavoratori difendono la loro fabbrica da una logica puramente finanziaria che li vorrebbe schiacciati”.

Lo stabilimento di Reggio starebbe vivendo un momento di crisi, anzi, negli ultimi anni quasi mai ha fatto uso di ammortizzatori sociali a differenza della maggior parte delle aziende del settore della meccanica agricola locale. Secondo la Fiom Cgil “non esiste alcuna ragione industriale o di mercato per cessare questa attività a Reggio: lo stabilimento produce atomizzatori ed il portafoglio ordini è ancora pieno, con un leggero calo in linea con il settore, ma niente di preoccupante. La logica dell’azienda è puramente finanziaria e ha lo scopo di soddisfare le volontà delle banche, facendo saltare ogni principio di responsabilità sociale nei confronti delle persone che lavorano”.

Il piano finanziario presentato alle banche (per rientrare di un debito di oltre 200 milioni di euro per un’azienda che ne fattura meno di 300 milioni) avrebbe previsto una riduzione dei costi attraverso la chiusura dello stabilimento di Roncocesi. “Trasferirci a 300 chilometri dalle nostre famiglie di fatto è un licenziamento, poche balle”, ha detto Marcello Vita, delegato sindacale, che aggiunge: “Noi non molliamo, non siamo mai stati così uniti”.

L’azienda di via Rinaldi fino a tre anni fa era di proprietà del gruppo Yama di Reggio e fu venduta al gruppo Maschio Gaspardo in una fase di acquisizioni che portò questo gruppo ad acquistare in pochi anni molti marchi importanti della meccanica agricola nazionale, come Feraboli, Unigreen, Moro ed altri minori, fino ad arrivare a circa 2 mila dipendenti. Questa espansione, che ha portato a triplicare il fatturato di gruppo in pochi anni, si è accompagnata con un’esplosione del debito che ad un tratto è divenuto insostenibile.

“Quando grandi gruppi arrivano sul territorio e acquisiscono aziende reggiane senza alcun vincolo si rischia il saccheggio: dei prodotti, dei mercati, delle conoscenze, che vengono portate altrove, in Veneto come in Cina” ha affermato il Segretario della Fiom di Reggio Sergio Guaitolini. “Sul terreno – ha concluso – lasciano solo macerie e costi sociali per la collettività. E’ un problema solo di questi 35 lavoratori e della Fiom? Cosa dice il sistema delle imprese, la politica, che risposta danno le istituzioni?”. La Fiom di Reggio si dice disposta a negoziare con la Maschio Gaspardo, ma a condizione che il lavoro non “scappi” dal territorio.