Grissin Bon: poca spesa, massima resa

12 maggio 2016 | 21:12
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Grissin Bon: poca spesa, massima resa

Le energie fisiche e mentali consumate in questo quarto di finale sono stare ridotte al minimo, zero infortuni di rilievo, poche le difficoltà incontrate. La resa è massima, perché, al di là di tutto Reggio ha espresso una qualità di basket eccellente, con idee chiare, se vogliamo anche estreme, ma almeno c’è stato un metodo

REGGIO EMILIA – Poca spesa, massima resa. La Grissin Bon ha fatto bingo in questo primo turno di playoff. Poca spesa, perché in fondo, sbarazzarsi dei Campioni d’Italia in carica – meglio, quello che ne rimane – con la “scopa in mano” è il top. Le energie fisiche e mentali consumate in questo quarto di finale sono stare ridotte al minimo, zero infortuni di rilievo, poche le difficoltà incontrate.

La resa è massima, perché, al di là di tutto Reggio ha espresso una qualità di basket eccellente, con idee chiare, se vogliamo anche estreme, ma almeno c’è stato un metodo. Ancora una volta – e sicuramente in via Martiri della Bettola e alla Cassala si gongolerà per questo – questa Grissin Bon riesce a salire di un paio di marce quando conta.

Importante, perché la semifinale porrà la squadra di Max Menetti di fronte a problematiche un poco più grandi rispetto a quelle poste da Sassari. E’ un 3-0 che non ammette repliche. L’85 a 99 di ieri sancisce la fine di una stagione deludente da parte di una squadra e la conferma da parte di un’altra.

Vediamo

Sulla partita di ieri c’è poco da soffermarsi. Il dominio tecnico è stato evidente. Reggio ha imposto la sua legge, la sua circolazione di palla, e il suo spacing senza mai voltarsi indietro. Senza esitazione alcuna. E’ stata una Grissin Bon molto bella da vedere anche. Ma è normale, quando di fronte hai una squadra che non ne ha più.

Sinceramente ritengo che questo risultato sia importantissimo per Pallacanestro Reggiana e per il basket di alto livello a Reggio Emilia. Perché mette un punto fermo. La finale dell’anno scorso poteva essere un caso, se non fosse stata confermata da qualcosa di appena simile quest’anno. Urge una premessa, almeno per me. So che è banale ma è così: nello sport uno vince, tutti gli altri cosa sono? Dei falliti? Degli underachiever? Non credo. Per centrare il bersaglio occorrono tanti fattori, alcuni che si possono predeterminare, altri che riguardano molto da vicino l’allineamento degli astri e, tutto sommato, anche come gira l’imprescindibile Fattore C.

I fattori predeterminabili sono quelli che rendono un club solido ad alto livello. Arrivare a giocarsi un titolo può essere casuale. Può essere, appunto, l’allineamento astrale perfetto in un anno particolare. Ripresentarsi l’anno dopo, fare costantemente e regolarmente corsa di testa in regular season, andare ai play off ed essere sostanzialmente tra le prime quattro d’Italia, per il secondo anno consecutivo, ha, secondo il mio modesto parere, un valore strategico fondamentale. Ben più grande che la vittoria di uno Scudetto o sfiorarlo.

“Vogliamo lo Scudetto” vuol dire tutto e niente (anche io vorrei scrivere per espn.com. Ci scrivo? No. C’ho scritto? No. Ci scriverò? Tutto mi lascia pensare che sia un…. No!). Affermare: “Vogliamo sostenere il successo degli anni passati”, secondo me è fare del buon management sportivo. Essere costantemente al vertice, lavorare per restarci, costruire squadre che si confermino negli anni attorno al primo, secondo posto in classifica è sintomo evidente di una cultura manageriale positiva e produttiva. Per questo, ritengo che essere in semifinale abbia un valore importantissimo per Reggio Emilia e Pallacanestro Reggiana, perché certifica, per il secondo anno consecutivo, che si è sostenuto il proprio successo, ottenuto attraverso una certa linea programmatica. Un certo modo di fare le cose. E chiarisco ulteriormente, non sto affatto dicendo che il più è fatto e che bisogna accontentarsi.

Giunti a questo punto bisogna, mettendomi nei panni di Reggio, provarci. Ma c’è una grande, enorme differenza tra il regredire dopo avere sfiorato l’apoteosi, e rimettersi nuovamente nelle condizioni di provarci. Non si vince ogni anno. Magari non si arriva a giocare per vincere ogni anno. Ma essere nelle condizioni di provarci, ad ogni stagione, è ciò che differenzia i club solidi dalle meteore…

Ecco, a proposito di meteore, quello che ci ha insegnato Sassari quest’anno è che: è molto più difficile gestire una vittoria che una sconfitta. L’anno scorso tutti i pezzi sono andati al loro posto, il club ha indovinato praticamente tutti i giocatori ed ha messo in bacheca un triplete storico. Quest’anno stessa filosofia, risultati fallimentari e gestione in linea con i risultati. Squadra rivoltata, ma con americani meno talentuosi ed efficienti. Stabilità tecnica saltata per aria, perché se parti con Meo Sacchetti e arrivi a Pasquini, passando per Calvani: non puoi sperare in nulla di meglio di quanto ottenuto (ma non per il valore in sé dei singoli tecnici, che non mi permetto di discutere, ma per come è stata gestita l’intera vicenda tecnica sassarese, nel corso della stagione). Il problema del Banco è questo. Il messaggio che è stato dato è semplice, dirompente, e anche distruttivo da un certo punto di vista: siamo stati una meteora ad altissimo livello. Le vittorie dell’anno scorso sono state un caso. C’è da rimboccarsi le maniche in Sardegna. C’è da fare meno sparate e programmare un filo di più. Se ci si riesce…

Come previsto, il Banco ci è arrivato col fiato corto a questi play off. Anche ieri sera non ne avevano. Non ci vedo questioni eccessivamente tecniche: lo sforzo di arrivare settimi l’hanno pagato venendo macinati dalla seconda forza del campionato. Punto. Finito.

Mi preme sottolineare una cosa: che senso ha spendere dei soldi per un Josh Akognon quando hai un Lorenzo d’Ercole in casa? Un conto è un Jerome Dyson che ti fa vincere il campionato; un conto è uno che ha distrutto i canestri del campionato cinese (oh certo, in Cina, Michael Beasley ha asfaltato qualsiasi cosa e uno come Jason Maxiell  – al di là di questa scena qui – fa discretamente la voce grossa) ma che obiettivamente è discontinuo come non mai e non ti dà certezze. Può farti vincere una partita (contro Milano allo scadere), come svellere i ferri per tre partite come contro Reggio, combinando casini inenarrabili in campo. Meglio un italiano appena discreto, ma che sai sempre quello che ti dà, che un americano con talento ma eternamente discontinuo. Andrea De Nicolao, docet.
L’unico neo di ieri? La genialata di Polonara. Farsi espellere a babbo ampiamente morto, perché “sei un carico” e fai viaggiare un po’ troppo la lingua (anche se provocato) non è proprio il massimo della scienza. Così… rubrichiamo la scena in bene ma non benissimo. Il buono di tutto ciò è che mi sono accorto per la prima volta in stagione che Joe Alexander ha anche un po’ di grinta… Diciamo che il nerbo dell’ex prima scelta dei Bucks è inversamente proporzionale allo sconfinato talento cestistico di cui dispone.

La semifinale con Avellino? Bellissima. Sono le due squadre che giocano meglio a pallacanestro di questa stagione. E due delle più serie candidate a contendere a Milano lo Scudetto. Dura fare pronostici. Ci sono sette partite e potrebbero davvero servire tutte. Ottimo che entrambe hanno una settimana di tempo per recuperare energie.