Economia, lieve ripresa: ma l’occupazione non cresce

12 maggio 2016 | 19:05
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Economia, lieve ripresa: ma l’occupazione non cresce

Si è tenuta ieri in Camera del Lavoro l’illustrazione del 7° osservatorio Economia e Lavoro sul territorio di Reggio Emilia a cura dell’Ires Emilia Romagna

REGGIO EMILIA – Si è tenuta ieri pomeriggio in Camera del Lavoro l’illustrazione del 7° osservatorio Economia e Lavoro sul territorio di Reggio Emilia a cura dell’Ires Emilia Romagna. Un accurato lavoro di analisi sulla struttura economica e sull’andamento del mercato del lavoro nella nostra provincia presentato da Davide Dazzi, che ne ha curato la realizzazione, sui cui poi si sono confrontati Luca Vecchi, sindaco di Reggio Emilia, Guido Mora, segretario della Camera del Lavoro, Carlo Baldi, dottore commercialista e Matteo Rinaldini, Università di Modena e Reggio Emilia, in uno dei pochi momenti di confronto aperto previsti in città.

Dalle elaborazioni prodotte emerge chiaramente come la crisi abbia inciso sulla caratterizzazione industriale del nostro territorio. Tra il 2009 e il 2015 si sono perse 947 imprese ( di cui 726 artigiane)  con un calo del 12,3% del tessuto industriale. Di contro è cresciuto il terziario, quello avanzato ma anche quello tradizionale:  la ristorazione, ad esempio, vede un aumento del +14,2%. I dati dell’Osservatorio parlano di un’economia in ripresa, seppur lieve, con un Pil  al +0,8% a fronte della quale però l’occupazione non cresce ma si assesta sui numeri del 2012.

Per la prima volta, nell’ultimo anno, si interrompe quel processo di polarizzazione professionale del mercato del lavoro in cui a crescere erano contemporaneamente basse e alte figure professionali, con una tensione verso l’aumento di figure medio-basse. Allo stesso modo i dati riconfermano come il jobs act non abbia prodotto “nuova” occupazione, né occupazione di alto profilo,  e nonostante siano cresciute le assunzioni a tempo indeterminato “a tutele crescenti” , grazie agli sgravi contributivi alle imprese, passando da un 11,7% del 2014 al 16,3% del 2015, la forma di contratto prevalente rimane quella a tempo determinato.

Parallelamente, si assiste ad una precarizzazione del mondo del lavoro che vede crescere in maniera preoccupante l’utilizzo dei voucher, anche nelle realtà industriali ( dove si ipotizza se ne utilizzi il 30% del totale), e si stima che a Reggio Emilia ci sia stato un numero di circa 3.500 lavoratori medi pagati a voucher.
Tra i punti in analisi anche quello dei gap retributivi e di genere, che spesso coincidono, laddove emerge che le donne continuano a guadagnare il 33% in meno (dati 2014) rispetto agli uomini. Situazione che si riverbera nel quadro pensionistico dove le disuguaglianze si attestano al 26,5%.

Ma l’Osservatorio fa il punto anche sui giovani della nostra Provincia. E fa effetto vedere come la popolazione lavorativa tra i 20 e i 40  anni sia diminuita di 14mila e cinquecento unità. “Un dato che risente in parte di un fenomeno fisiologico legato ad esperienze universitarie o post universitarie fuori dal luogo di residenza – spiega Matteo Rinaldini – che però ci deve interrogare quando diventa evidente che chi parte, dopo essersi formato a Reggio Emilia, non fa ritorno”.

Il dibattito ha incrociato punti di vista molto diversi. Guido Mora ha incalzato la discussione evidenziando come  “dai dati emersi scopriamo che Reggio Emilia non è così diversa dal resto del Paese. Pensavamo  – ha detto – di avere gli anticorpi per reagire, ma se continua questo trend, e se continuano a livello più generale le politiche di austerità, verso quale modello ci dirigeremo?”

“Siamo in un contesto di transizione di un modello di sviluppo –  ha commentato Luca Vecchi – che nonostante le criticità  da anche segnali di tendenza non negativi in tutti gli ambiti: dobbiamo chiederci dove vogliamo andare, e la risposta non può essere  che spostarci da un modello di sviluppo “basso”, che ha radici antiche, verso la via alta, anche attraverso lo sblocco degli investimenti pubblici”.

A chiedere una scossa al sistema, infine, Carlo Baldi, che ha messo l’accento su “una concezione troppo dirigistica e familistica delle imprese che devono sapere innovare – ha commentato –.   La stessa cosa vale però anche per la classe dirigente di questo Paese, che non deve essere un freno mentre servono politiche di rilancio”.