Mafie, Ferrari: “Attacchi indegni, noi promuovemmo una nuova stagione urbanistica”

16 febbraio 2016 | 12:30
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Mafie, Ferrari: “Attacchi indegni, noi promuovemmo una nuova stagione urbanistica”

L’ex vicesindaco e assessore all’urbanistica della giunta Delrio va al contrattacco: “Abbiamo detto molti no”. Ma c’è spazio per un’autocritica: “Eravamo ingenui e presuntuosi, pensavamo di essere immuni da questo contagio”

REGGIO EMILIA –  Riceviamo e pubblichiamo l’intervento di Ugo Ferrari, ex assessore all’urbanistica, vicesindaco di Delrio e poi reggente quando quest’ultimo divenne ministro. Ferrari parla di edilizia e mafia alla luce anche di quanto emerso dall’inchiesta Aemilia sulla presenza della ‘ndrangheta nella nostra città e delle accuse che il Movimento Cinque Stelle e le opposizioni fanno alla giunta Vecchi e a quelle passate.

“Reggio e l’Emilia si trovano ad un tornante decisivo nella lotta alle mafie e all’illegalità grazie ai colpi micidiali inferti negli ultimi anni dalle forze dell’ordine e dalle Istituzioni. I comuni e le istituzioni hanno messo in campo una serie di nuovi strumenti di contrasto senza precedenti. Uno dei punti di forza, come ricordava il prefetto De Miro, consiste nel sostegno e nella collaborazione  fra forza inquirenti, Istituzioni, forze politiche e associazioni. Oggi che ne sappiamo molto di più su come agiva la delinquenza organizzata, serve unire e non dividere per vincere questa difficile battaglia di libertà.

Un solo esempio: vanno costruite le premesse affinché anche la comunità cutrese compia assieme a noi questa difficile e lunga strada. Una comunità doppiamente vittima perché, come ci ricordava Ciconte, più esposta ai ricatti ed ora ai pregiudizi.
Ha ragione quel ragazzo curtense che ha scritto domenica sulla Gazzetta di Reggio di una comunità nella sua stragrande maggioranza onesta, laboriosa, che ha fatto un lungo tratto di strada assieme ai reggiani. Ha ragione quando dice che la storia di Reggio e di Cutro non è solo storia di ndragheta, ma di lavoro, di condivisione, di progresso reciproco. Qui stanno le ragioni di Via città di Cutro e del gemellaggio.

Si accusa Del Rio perché in 9 anni anni da sindaco si è recato una volta a Cutro, io lo critico perché c’è andato poco e mi fa piacere che abbia dichiarato di volerci tornare. Spero che vi si rechi presto anche il sindaco Luca Vecchi. Dobbiamo sentire il disagio di questa comunità che oggi  si sente messa sul banco degli imputati. Solo così si può chiedere agli onesti e ai giovani di questa comunità di far sentire più forte la loro voce di condanna, aiutarci a capire cosa è successo.

Assisto invece ad uno spettacolo indegno messo in scena dal Movimento 5 Stelle e altri comprimari, il cui unico scopo è quello di generare una coltre grigia dalla quale emerga il sospetto, la calunnia. Non importa se si devono raccontare balle, infangare persone oneste. Non importa se si deve usare  la commissione Antimafia o le lettere dal carcere come veicoli di misera propaganda. Vedo un fiorire di personaggi che si affrettano a piazzarsi in prima fila, autodichiarandosi onesti piu’ degli onesti, loro cosi lungimiranti “l’avevano detto prima”. Provo fastidio per tutto questo, perche’ sono cresciuto con una generazione che considerava l’onesta’, per chi ricopriva un incarico pubblico, non un merito per cui vantarsi, ma un prerequisito necessario, una ovvietà.

La parola d’ordine sembra essere “attaccare il PD”, nel punto alto del proprio consenso e del buon governo, farne un caso nazionale. Per questo scopo, servono simboli forti: dal ministro Graziano Del Rio, al sindaco Luca Vecchi e fin che ci siamo, processiamo l’intera classe dirigente degli ultimi decenni. Magari con una foto da utilizzare in campagna elettorale di una delegazione reggiana davanti all’ Antimafia. Non importa se non c’è molto da aggiungere a quanto si sia già detto, se non c’e nessuna ipotesi di reato, c’è la foto.

Ho sentito il bisogno di scrivere per fornire un punto di vista a chi si chiede cosa è successo e fornire alcune informazioni sulla storia urbanistica ed edilizia di questo territorio. E’ stata questa la madre di tutti i guai? Che ruolo hanno avuto gli strumenti urbanistici? Queste sono domande vere, serie, ed io sono fra coloro che ritiene che si debba andare a fondo. Auspico pero’ un luogo “neutro” dove si possa riflettere davvero, compiere analisi e trarre qualche conclusione fuori dal condizionamento della cronaca e della critica spicciola.

Mi limito, in questa occasione, a proporre alcune riflessioni ed a ricordare i dati veri della stagione urbanistica che conosco meglio, quella dal 2004 al 2014. Dico subito che la regione Emilia Romagna, più pianificata d’Italia, non ha dato ottima prova di se’, non è la cosa che le è riuscita meglio. Molte regole, troppa cementificazione e in ritardo su come si costruiva rispetto ad altre parti d’Europa.

Del Rio e la sua maggioranza nel 2004 proposero una nuova stagione urbanistica. Non la propose in contrapposizione al passato, ma con lo sguardo rivolto al futuro. Forte di una nuova legge regionale (legge 20 del 2000) e dell’esperienza fatta sino ad allora, che mostrava diversi problemi e limiti compreso il rischio di rompere l’equilibrio essenziale fra edificazione e capacità di realizzare servizi, strade e coesione sociale.

Nella mia prima intervista dichiarai “che si era costruito troppo e piuttosto male” suscitando molte reazioni. Nella primavera del 2005 ,in pieno boom edilizio, proponemmo un documento di maggioranza, con i Verdi e Rifondazione che indicava gli obbiettivi da perseguire, e a quella strategia ci attenemmo nei 9 anni successivi. Nel 2006 approvammo il Piano Poliennale di Attuazione (PPA) che rinviava oltre il 35% delle volumetrie rispetto al PPA precedente; introducemmo il bilancio ambientale x i Piani Particolareggiati e, in essi, fu resa obbligatoria la quota di Edilizia Residenziale Pubblica.

Con alcune Università e associazioni Predisponemmo lo standard “Ecoabita”  sul risparmio, l’efficenza energetica e un nuovo modo di costruire che, nonostante difficoltà applicative, vinse primi premi a Bolzano e  a Ecomondo. Formammo Centinaia di certificatori, anticipando di alcuni anni la Legge Regionale in materia. Si trattava di primi segnali significativi che indicavano una strada, una volontà, anche se alcuni interlocutori ci guardavano come fossimo marziani o visionari.

Nel 2009, dopo un lungo percorso di approfondimenti e confronto arrivò l’adozione del primo PSC che puntava tutto sulla rigenerazione e la riqualificazione dell’esistente. “La Città troverà le proprie occasioni di futuro dentro i confini attuali” dicevamo già prima della crisi. Le Reggiane, l’ Area Nord, la Città Storica, l’area del Consorzio Agrario, l’area dell’ex casa di riposo ad ospizio,il San Lazzaro, il Quartiere Mirabello erano parte dei 31 ambiti di riqualificazione e le nostre vere scommesse, poi fortemente ridimensionate dalla crisi. La centralità del progetto e non gli indici o regole rigide erano i nuovi riferimenti.

Non aprimmo nessun nuovo  episodio urbanistico, gli unici ampliamenti riguardavano Mancasale e Prato Gavassa, non per esigenze espansive ma per favorire le delocalizzazione di capannoni da zone agricole o operazioni di accorpamenti di importanti gruppi industriali in aree dotate di tutte le moderne infrastrutture. Sulla residenza individuammo Fogliano e Gavassa lungo le ferrovie storiche. Puntammo all’abbattimento della rendita fondiaria, prevedendo per queste aree, sino ai due terzi delle volumetrie e delle aree in disponibilita’ dell’amministrazione comunale. Con il senno di poi si è trattato di scelte forse un po’ velleitarie, ma questo era l’intento.

Del migliaio di osservazioni al Piano  Strutturale, cittadini ed imprese chiedevano, in piena crisi,l’equivalente di nuovi 12mila alloggi ed un milione e mezzo di mq di aree produttive e commerciali. Dicemmo “no”al 98,5% di queste richieste. Il piano si è chiuso con un “piu’”0,77% del territorio comunale, dunque, a parte il consistente pregresso ereditato, un sostanziale sviluppo “0”.

Credo sia intuibile quante richieste e pressioni abbiamo dovuto reggere: da impresari che si dichiaravano rovinati se non veniva accolta la richiesta di variante, ad alcuni agricoltori che pensavano di essersi assicurati il futuro, vendendosi stalla e fienile per far posto ad un piccolo quartiere, ai semplici cittadini che volevano comprensibilmente la casa per i figli anche in aperta campagna.

Disegnammo e vincolammo la cintura verde della città, sette nuove aree boccate, 300.000 nuove piante da mettere a dimora. Facemmo un patto con le associazioni agricole: corrispondendo a tutto quello che serve per lo sviluppo dell’attività agricola, snellendo e semplificando ma frenando così residenze sparse e sottrazione di terreno agricolo. Infatti, cancellammo lotti in campagna e si impedirono nuovi urbanizzazioni in territorio agricolo.

Gli edifici e complessi, con vincoli e tutele, passarono da 300 a 1.200, passammo dal concetto di centro storico a quello di citta’ storica, comprendendo  la citta’ del 900. Compimmo queste scelte coinvolgendo i cittadini e i loro rappresentanti, nella massima trasparenza. Durante l’intero iter  del piano ho contato circa 300 incontri; alcuni convegni,interviste ad oltre 20 interlocutori autorevoli della citta’, 6 laboratori, 30 gruppi di lavoro costituiti e promossi dalle circoscrizioni, 9 gruppi di giovani professionisti, per predisporre il piano dei servizi  per capire meglio le forti trasformazioni intervenute e le proposte da attuare.

Quaranta sedute di commissione consiliare, con tutte le carte sul tavolo in tempo reale.Valutammo tutte le richieste una per una,le circoscrizioni dedicarono in media 4 sedute a questo lavoro. Sono a verbale del consiglio comunale le migliaia di emendamenti e i contrasti  al PSC da parte delle opposizioni ma anche i molti apprezzamenti per la trasparenza, il coinvolgimento e l’eccellente lavoro tecnico del gruppo guidato da Maria Sergio e per la conduzione impeccabile ed imparziale della commissione urbanistica da parte del presidente Salvatore Scarpino.

Questi sono i fatti veri. Di un PSC e di una programmazione edilizia che ha riorientato la storia urbanistica della citta’. Questo è avvenuto anche in molti altri comuni e con il Piano Territoriale Provinciale ,che ha posto vincoli qualitativi e quantitativi cogenti. La crisi ha fatto crollare l’edificazione ma i nuovi PSC sono la cornice entro la quale costruire il futuro.

In questi giorni si è montata la critica dei lotti ad intervento diretto, i quali vengono approvati con meno controlli ed oneri indiretti, favoriti, secondo questi critici,dal ritardo nella approvazione dei piani particolareggiati. Ricordo che, a fine 2005 ne avevamo gia’ approvati 12, istruiti prima del 2004. Ma cio’ che piu’ importa è che questi interventi diretti, dal 2000 al 2009, hanno costituito il 57% di quanto realizzato. Con il PSC la quota degli interventi diretti sul costruibile si riduce al 20%,grazie anche ad alcuni piani che da interventi diretti sono stati passati a piani particolareggiati convenzionati.

Su quanto si è costruito, è bene chiarire che nel 2005 si costruirono circa 1.300 alloggi all’anno,con un calo graduale, negli anni successivi, fino ai 300 alloggi nel 2011. Gli oneri di urbanizzazione passarono nello stesso periodo da 26 milioni di euro a 10 milioni per poi ridursi gradualmente ai pochi milioni di oggi.Come Comune non abbiamo inseguito logiche di cassa, altrimenti avremmo detto e fatto cose diverse.

I dati sul consumo di suolo degli ultimi 10 anni, chiarito diverse volte in Consiglio Comunale, si rivelano fortemente influenzati dal nuovo criterio introdotto anni fa dalla Regione, che cambio’ il metodo di calcolo per la trasformazione del suolo.
Ricordo solo un dato: a Reggio Emilia, dai primi anni del 2000 ad oggi ha quasi raddoppiato la dotazione di verde pubblico dai circa 5 milioni di mq a oltre 9 milioni di mq.

Nel conteggio del consumo di suolo, per intenderci, c’è tutto Parco Ottavi e molti altri piani mai partiti o non completati, compresa l’infrastrutturazione dell’ alta velocità. Si è chiuso in sostanza una storia che non tornera’ piu’ e il PSC  ha indicato una nuova strada da perseguire. Ben venga, dicevo all’inizio, l’analisi di ciò che è avvenuto negli ultimi decenni in urbanistica. Facciamola con trasparenza e senso di verita’, ma soprattutto contestualizzando le situazioni.

Non si puo’ scrivere questa storia con le informazioni, il quadro legislativo, le conoscenze e la consapevolezza di oggi; si farebbe una operazione culturalmente e politicamente scorretta e fuorviante. Alcune scelte compiute nei piani precedenti le abbiamo condivise, come  la infrastrutturazione  legata all’Alta Velocità, il nuovo criterio di perequazione  con opere pubbliche e ampie cessioni di aree a carico del privato, che hanno fatto scuola a livello nazionale. Alcune scelte del passato, da noi modificate, calate in quel contesto con l’esperienza di quel tempo, probabilmente le avremmo condivise anche noi. Così come i nuovi amministratori, modificheranno le scelte fatte in passato dal PSC.

Del resto, in fasi di forti trasformazioni, l’urbanistica deve essere un processo dinamico, non un piano  che si approva ogni 10/ 15 anni. La febbre edilizia di Reggio, non trova origine dai PRG, ma da un insieme di fattori. A cavallo del cambio di secolo ad esempio, oltre la pianificazione edilizia che prevedeva lotti e piani in ogni luogo e per ogni tasca, l’economia tirava, i reggiani avevano di cui investire, dopo i casi Cirio e Parmalat non era più sicuro l’investimento in borsa, la città cresceva di 3.000 abitanti all’anno, le banche offrivano mutui al 110% delle spese e sostenevano ogni intervento edilizio ed erano in calo i tassi di interesse così  il patrimonio immobiliare si rivalutava del 7/8 % all’anno.

La penetrazione della malavita organizzata non era certo percepita come oggi. Non cerano molti nomi e cognomi noti da cui guardarsi. Eppure le manifestazioni si sono sempre fatte, gli incontri e la collaborazione fra comuni, prefettura e forze dell’ordine c’è sempre stata. Ricordo nei primi anni 2.000 come in occasione della costruzione dell’Alta Velocità, si fece un accordo fra  società capofila  e Prefettura per cui ogni sub appalto o persona che metteva piede nel cantiere doveva essere periodicamente segnalata.

Ci viene chiesto polemicamente: “Avete incontrato in passato i personaggi oggi inquisiti?”. Nel mio lavoro di assessore all’urbanistica avevo mediamente 5/6 incontri al giorno con cittadini, artigiani e imprenditori che venivano a perorare la loro causa. Francamente non ricordo, ma probabilmente ho incontrato alcuni di quei personaggi allora legittimi operatori del settore. Di sicuro ho incontrato, in un paio di occasioni i rappresentanti dell’ associazione AIER, i quali, parlavano con i giornali, promuovevano convegni, avanzavano proposte pubbliche che riportavano in questi incontri.

Ma come è noto, non abbiamo accolto nessuna delle loro proposte. Il punto non mi pare sia chi abbiamo incontrato negli anni o se fra le migliaia di amministratori qualcuno ha comprato casa da un cutrese, che successivamente si è scoperto malavitoso, darei per scontato che questi soggetti si siano aggiudicati alcuni appalti pubblici, permessi di costruire.

I sindaci e i dirigenti ricorderanno come  a volte ci si rivolgeva alla prefettura per situazioni non limpide e spesso la risposta era: “Non ci sono elementi sufficienti per negare legittimamente un appalto o una licenza”. Solo con il 2010/2011 iniziarono le interdittive, e cominciarono ad uscire dalla prefettura elenchi anche informali su cui Delrio invitava a vigilare con grande attenzione. Si facciano pure queste verifiche. I punti essenziali da indagare però non mi pare siano questi ma piuttosto se  amministratori e politici hanno tratto benefici personali da tutto ciò e se c’è stata, in qualche misura, convivenza. La risposta, a questo punto delle indagini, è no.

Anzi, le scelte urbanistiche e le politiche della giunta Delrio e delle istituzioni locali contrastano  chiaramente con gli interessi dei malavitosi. Ma non vogliamo in alcun modo appuntarci medaglie; per chiarezza è bene ribadire che i sindaci non fanno i poliziotti ma un altro mestiere, quelle scelte le abbiamo compiute perché perseguivamo una idea di città sostenibile, solidale, inclusiva. Così come sarebbe una enorme fandonia imputare a chi, nei decenni scorsi, ha previsto più urbanizzazioni, con l’intento di favorire i fenomeni degenerativi che ne sono seguiti.

Se guardiamo alla sostanza e si vuole fare un bilancio complessivo credo si possa dire che i 5 PRG di Reggio, approvati dal dopoguerra,  sono stati frutto del loro tempo, di un determinato periodo storico, economico, sociale e culturale, che pur fra molti problemi, ci hanno consegnato una citta’ che si conferma come un buon posto dove vivere. Una città dove nei quartieri e nelle frazioni ci si conosce, dotati di  parchi, piste ciclabili, asili, biblioteche, centri sociali, sedi di partito e parrocchie, dove operano associazioni di ogni genere e permangono relazioni sociali, anche se indebolite.

Per queste ragioni vado orgoglioso, assieme a molti reggiani, di questa storia e dell’onestà dei nostri amministratori. In Emilia e a Reggio partiamo da un punto di forza essenziale e distintivo. Alla sbarra, nelle grandi inchieste di mafia, al sud come al nord, ci si trova davanti alla seguente fotografia: 3 mafiosi, un servitore dello stato infedele, un libero professionista, un imprenditore, un politico e un dipendente pubblico.

In Aemilia (spero di non venire smentito in futuro) mancano l’amministratore e il dipendente pubblico. Io non ho memoria di un solo politico o dirigente pubblico condannato per fatti di mafia. Qui il Pd e le istituzioni locali e regionali, hanno voluto e finanziato il processo a Reggio, costituendosi parte civile e in passato hanno lavorato perché si aprisse una sezione antimafia a Bologna.

Questo, allo stato delle cose, è il tratto distintivo di queste terre che ha fatto dire ai capi mafiosi, come ci ricordava Ciconte, che l’Emilia è “terra Ostile”, hanno fatto affari importanti, costruito una rete di fiancheggiatori ,ma non c’è la politica corrotta, le istituzioni  stanno da un’altra parte, da quella della legalità e dell’onesta’.

Ho riflettuto a lungo, dopo l’inchiesta, su quali possano essere state le nostre colpe per non avere intuito la dimensioni del fenomeno mafioso. Non me la posso cavare dicendomi che toccava ad altri indagare. Ciò che riesco a dire è che una inconsapevole ingenuità e una dose di presunzione ci faceva sentire forti, immuni da questo contagio; non abbiamo messo nel conto dovuto che potessero annidarsi fenomeni così lontani da noi, per moralità e per cultura. Ma di questo avremo modo di riparlarne.