Reportage – Profughi, i paradossi della Fortezza Europa

19 dicembre 2015 | 10:45
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Reportage – Profughi, i paradossi della Fortezza Europa

L’analisi: “La gestione europea dell’emergenza é fallimentare e invece di migliorare le cose vengono approvate regolamentazioni che mettono a maggior rischio il passaggio dei rifugiati, aumentano il business dell’illegalità e sanciscono discriminazioni acuendo le tensioni interrazziali”

REGGIO EMILIA – Reggio Sera continua il viaggio con l’associazione onlus trentina Speranza-Hope for children nata un anno fa con lo scopo d’intervenire nella grave emergenza umanitaria del popolo siriano. Un volontario dell’associazione, Vittorio Fera, sta compiendo un viaggio da Sid, al confine serbo/croato fino all’estremità della Grecia all’isola di Lesvos (Lesbo) su cui arrivano i rifugiati che scappano dalle guerre attraverso il mare della Turchia.

Con lui c’è Hope, un piccolo pupazzo di stoffa, realizzato dalle mamme siriane nelle campagne di Aleppo (come lui ce ne sono tanti e l’associazione, insieme ad altri prodotti locali, li mette in vendita per permettere il sostentamento delle famiglie in Siria, ndr) che accompagnerà Vittorio in questo viaggio a ritroso verso la sua casa, la Siria, oggi dilaniata dalla guerra civile.


Ultima tappa
Reportage di Vittorio Fera

Alla fine di questo viaggio sulla rotta dei rifugiati non é facile decifrare quello che rimane dentro, dare un nome alle sensazioni e riordinare le emozioni. Migliaia di persone con migliaia di storie,storie di guerra di povertà, di oppressione, di violenza.
Anche solo una di queste storie ti mette ko, figuriamoci trovarsi nel crocevia di tutte queste storie e delle persone che le raccontano e che ti raccontano del futuro che sognano, del posto dove vogliono andare.

Come Khaled che aspirando soffi di fumo di una sigaretta ti racconta che vuole andare in Germania per continuare gli studi in ingegneria e poi tornare ad Aleppo a costruire ospedali, Bilal che ha imparato l’inglese dai giornali e mentre ti mostra la foto del cugino già arrivato in Svezia ti spiega che vuole tornare a Kabul a fare politica, quella buona però, aggiunge con un sorriso. O Faris che tiene in braccio la sorella minore e ti chiede se è piú difficile imparare il belga o il norvegese e che ha lasciato il Pakistan perchè i talebani hanno ucciso suo zio e lo volevano costringere a tenere la barba lunga. Non si può rimanere impassibili di fronte a queste storie.

Bisogna fare qualcosa. Per questo migliaia di giovani hanno deciso di incrociare le loro vite con questi ragazzi: chi preparando pasti caldi, chi dando informazioni, chi aiutando a costruire tende e strutture, chi distribuendo vestiti e coperte. Vedere americani, tedeschi, ungheresi, greci, britannici, italiani, francesi ecc che al contrario delle politiche razziste guerrafondaie e colonialiste dei loro governi si danno da fare per mostrare solidarietà attiva è un messaggio politico potentissimo: le persone fanno la differenza non le istituzioni,non i governi che anzi hanno causato queste situazioni.

Un modo anche per esorcizzare la paura, la diffidenza nello straniero, la psicosi del terrorismo in cui i media ci vogliono affogare per costringerci ad accettare le continue restrinzioni alle nostre libertà per motivi di sicurezza. Quello che ho capito in questo mese di viaggio è che i gruppi di volontari indipendenti, i movimenti, i gruppi universitari e i collettivi noborders stanno veramente dando un contributo molto piú significativo di quello di Ong e Unhcr. Come a Idomeni,dove garantivano 24 ore su 24 di pasti caldi, a Lesvos dove assistono le barche appena arrivate sulla spiaggia con cibo e vestiti asciutti, a Dimitrovgrad dove forniscono medicazioni e farmaci ininterrottamente anche quando invece la croce rossa termina il suo turno ad orari d’ufficio.

Quello che ho capito é che per combattere le ingiustizie non serve fare la carità ma essere solidali con chi é oppresso. Come dice Noam Chomsky: “La solidarietà rende gli individui difficilmente controllabili e impedisce che diventino un soggetto passivo nelle mani dei privati. Quindi occorre una macchina propagandistica che corregga ogni deviazione dal principio della soggezione ai sistemi”.

Conclusioni
In questo mese mi sono posto un milione di interrogativi su come la Fortezza Europa sta gestendo questo esodo e ho assistito a cambiamenti vorticosi della situazione ai limite della schizofrenia: ingenuamente mi chiedevo se i diritti fondamentali dell’uomo venissero rispettati nella gestione di questo enorme e inarrestabile flusso di persone. Quello che ho concluso è che la gestione europea dell’emergenza é fallimentare e invece di migliorare le cose vengono approvate regolamentazioni che mettono a maggior rischio il passaggio dei rifugiati, aumentano il business dell’illegalità e sanciscono discriminazioni acuendo le tensioni interrazziali. Paradossi a go-go insomma.

Il primo paradosso è quello che opera un’assurda distizione tra rifugiati politici e migranti economici autorizzando in Macedonia, Serbia, Croazia e Slovenia solo il passaggio di siriani iracheni e afghani, considerati rifugiati politici. Tutti gli altri per l’Europa sono migranti economici e non possono passare, stop. Stop per gli yemeniti bombardati dall’Arabia Saudita, stop per i pakistani oppressi dal regime talebano, stop per i saharawi nonostante siano considerati rifugiati politici da oltre trent’anni. Lo sono addirittura i palestinesi che erano già rifugiati politici in Siria dopo l’occupazione israeliana nel ’48 e ’67. Per poter passare devono fingere di essere siriani, altrimenti stop.

Il secondo paradosso riguarda l’accordo tra Europa e Turchia col quale l’Eu ha garantito 3 miliardi di euro alla Turchia per chiedere di impedire ai rifugiati di raggiungere la Grecia e per allestire centri di detenzione e permanenza (gli hotspot,in politically correct) in Turchia. Praticamente si sta costringendo iracheni e siriani che fuggono dall’Isis ad accasarsi nel paese che insieme all’Arabia Saudita, è accusato da tutti i media internazionale di aver contribuito alla crescita dell’Isis. Terzo paradosso:a Lesvos opera IsraAid, ong israeliana che aiuta i rifugiati siriani nonostante il governo israeliano non abbia accettato nessun rifugiato siriano e nonostante Israele abbia causato con l’occupazione e la pulizia etnica la creazione dei rifugiati palestinesi. Israele dice di schierarsi e cooperare per il rispetto dei diritti umani quando calpesta quotidianamente da piú di 60anni i diritti dei palestinesi. Nota a margine: IsraAid orbita nella galassia delle politiche di whitewashing con cui il governo israeliano cerca di mascherare i crimini contro i palestinesi.

Paradosso finale
L’Europa dopo gli attacchi di Parigi vara politiche restrittive per limitare i rifugiati giustificandosi con lo scopo di combattere il terrorismo. Insomma invece di dare la colpa del terrorismo a chi fa le guerre dà la colpa a chi scappa dalle guerre.

(Fine)