“Ho visto convertirsi all’Islam un centinaio di reggiani”

4 dicembre 2015 | 16:51
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Lo dice Addad Ezzedine, presidente del centro islamico di via Monari. Lui e l’imam: “Chi ha ucciso a Parigi non segue il vero islam che è una religione di pace. Serve un intervento militare per distruggere l’Isis”

REGGIO EMILIA – “Da otto anni a questa parte, per quel che ne so io, in questo centro si saranno convertiti all’Islam un centinaio di reggiani. Alcuni, magari, conoscono una ragazza musulmana e poi cominciano a frequentare la moschea e altri arrivano qui per curiosità”.

Siamo nel centro islamico di via Monari. Chi parla è il presidente, Haddad Ezzedine, 45 anni, da 27 nel nostro Paese, cittadino italiano di origini tunisine, di professione muratore, sposato, 4 figli. Dice Ezzedine: “Nel mese di Ramadan apriamo la moschea a tutti e, chi vuole, può venire qui a mangiare la sera se ha fame. Facciamo anche una festa ogni anno con i nostri vicini”.

L’occasione per parlare con Ezzedine è la preghiera di mezzogiorno del venerdì quando la moschea di via Monari è piena di fedeli. Ci togliamo le scarpe ed entriamo. L’ambiente è grande e pulito e c’è tanta gente venuta ad ascoltare la predica. Tutti uomini perché, per la loro religione, donne e uomini non possono stare nello stesso ambiente a pregare. Ci sono infatti due ingressi separati e le donne pregano nella sala sopra. L’imam egiziano, Yousif Elsamahy, parla con voce tonante dal pulpito in arabo ai fedeli. La prima parte viene tradotta in italiano, invero in un modo un po’ succinto, la seconda no.

Al termine della cerimonia religiosa avviciniamo il giovane che traduce e gli chiediamo cosa ha detto l’imam. Ci spiega che ha ricordato come, ai tempi di Maometto, ci fosse tolleranza e come cristiani, ebrei e musulmani vivessero insieme senza discriminazioni. Ha parlato anche dei fatti di Parigi e ha fatto notare che non c’è stato altrettanto clamore quando negli Usa c’è stata la strage nella clinica abortista. Ha comunque concluso che la comunità islamica si deve dissociare da ogni tipo di violenza.

Ci siamo poi fermati a parlare con il presidente del centro islamico. Ezzedine ha detto che i rapporti con le moschee di via Piccard e via Gioia sono buoni. “Ci incontriamo spesso”, dice. Sul problema dei permessi e della regolarizzazione dei luoghi di culto ha aggiunto: “Stiamo lavorando con il Comune per avere tutti i permessi che servono, ma questo problema non riguarda solo noi musulmani ma anche altre confessioni religiose”.

Ci raggiunge, poco dopo, l’imam che parla italiano male e quindi Ezzedine ci fa da traduttore. Gli diciamo che sappiamo perfettamente che i musulmani non sono tutti terroristi, ma gli chiediamo come mai, a suo parere, molti terroristi sono musulmani. Dice: “Quelli che hanno ucciso a Parigi non erano buoni musulmani. Seguivano l’Islam sbagliato perché la nostra è una religione di pace. Non è certo quella la strada dell’Islam”.

Ezzedine aggiunge: “Ho visto le biografie di quei giovani. Prima si drogavano, bevevano, non erano musulmani. Poi, improvvisamente, si sono fatti traviare da una dottrina estremista che nulla ha a che vedere con la nostra religione”.

Al termine del colloquio chiediamo cosa ne pensano di un intervento armato in Siria e in Iraq contro l’Isis. Dicono: “Se viene fatto da una coalizione internazionale per noi va benissimo. Vanno sconfitti”. Usciamo e notiamo che, anche fuori, il centro è piuttosto pulito e in ordine. Attraversiamo un piccolo campetto in erba sintetica dove i bambini possono giocare a pallone e sulla destra ci sono alcuni giochini. Dice Ezzedine: “Sa, è per i nostri figli quando vengono qui a studiare l’arabo e la nostra religione”.

E conclude: “Io sto bene qui e anche i miei figli. Sono stato in Tunisia per qualche anno, ma poi sono tornato qui. Ho un figlio disabile e i servizi sono molto migliori. Mi piace l’Italia e voglio che i miei figli crescano qui. Gli lascerò la massima libertà: l’unica cosa che gli ho detto è che non devono essere dei disonesti”.

Gli chiediamo: “Ezzedine, anche alle sue figlie lascerà la massima libertà?”. Risponde: “Mia figlia adesso ha tre anni, quindi non mi pongo il problema, ma quando sarà grande potrà fare quello che le pare. Però, se vuole andare a convivere, si deve sposare prima”. Stiamo per dirgli qualcosa, ma poi pensiamo, che, tutto sommato, questo è anche il pensiero di molti cristiani.