Reportage – Dimitrovgrad, figli di un dio minore

24 novembre 2015 | 23:59
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Reportage – Dimitrovgrad, figli di un dio minore

E’ un villaggio situato al confine tra Serbia e Bulgaria. Le condizioni in cui sono costretti i rifugiati violano i più basilari diritti umani

REGGIO EMILIA – Reggio Sera continua il viaggio con l’associazione onlus trentina Speranza-Hope for children nata un anno fa con lo scopo d’intervenire nella grave emergenza umanitaria del popolo siriano. Un volontario dell’associazione, Vittorio Fera, sta compiendo un viaggio da Sid, al confine serbo/croato fino all’estremità della Grecia all’isola di Lesvos (Lesbo) su cui arrivano i rifugiati che scappano dalle guerre attraverso il mare della Turchia.

Con lui c’è Hope, un piccolo pupazzo di stoffa, realizzato dalle mamme siriane nelle campagne di Aleppo (come lui ce ne sono tanti e l’associazione, insieme ad altri prodotti locali, li mette in vendita per permettere il sostentamento delle famiglie in Siria, ndr) che accompagnerà Vittorio in questo viaggio a ritroso verso la sua casa, la Siria, oggi dilaniata dalla guerra civile.

Settima tappa

Reportage di Vittorio Fera

Dimitrovgrad è un villaggio situato al confine tra Serbia e Bulgaria. Il campo dove ho fatto il volontario è di gran lunga quello con le peggiori condizioni di tutta la Serbia. Il campo è amministrato dal governo serbo ed è situato in una stazione di polizia. Innanzitutto bisogna specificare che questo è un campo di mera registrazione e non di stazionamento e le strutture presenti sono pochissime: un container della Croce Rossa e uno dell’Unhcr, oltre a un banchetto informazioni.

La situazione è molto difficile perché le normali operazioni di registrazione sono molto lente in quanto il personale di polizia possiede un solo terminale, per giunta obsoleto, per la scannerizzazione delle impronte e per la stampa del documento di transito. Nonostante giornalmente transitano per questo campo non più di 200-300 persone, la maggior parte afghani di età tra i 15 i 40 anni, le lungaggini burocratiche e la lentezza degli operatori di polizia non rendono possibile la registrazione giornaliera di tutti i rifugiati presenti nella coda e quindi i molti che rimangono fuori, dopo attese di ore e ore senza successo, sono costretti a dormire all’esterno del campo per terra, o non dormire affatto.

Molti rifugiati ci hanno raccontato di aver passato intere notti in fila senza essere stati registrati e di essere nel campo da anche 5 giorni consecutivi. Anche la Croce Rossa e la clinica non svolgono appieno il loro compito in quanto, cosa paradossale per un servizio di prima necessità come quello medico, sono aperte solo dalle 9 alle 5 di pomeriggio, come se fossero normali uffici. Nell’ improvvisato stand che è stato allestito all’esterno del campo (fino a una settimana fa era presente all’interno prima che la solerte polizia serba lo facesse sgomberare revocando l’autorizzazione senza alcun motivo) i volontari internazionali con cui ho collaborato hanno predisposto uno spazio dove poter servire bevande calde e zuppe, frutta e pane, uno spazio con indumenti e anche uno spazio con medicine e sterilizzazioni.

Grazie allo sforzo dei volontari internazionali del gruppo I’m Human che “si sbattono” per garantire 24 ore su 24 assistenza e presenza costante, si riesce a trasmettere un minimo di conforto e allegria e a portare un po’ di solidarietà a dei ragazzi, che sono non considerati non una priorità delle politiche di supporto emergenza rifugiati e come ci dice la polizia “sono giovani e forti e possono aspettare”. Anche per questo motivo questi volontari sono gli unici presenti in questo posto e non sono presenti media o Ong.

Nonostante ogni bicchiere di chai (tè) caldo venga accolto con un sorriso che scalda il cuore e testimonia quanto apprezzano il nostro supporto, questo non ci può e non ci deve bastare. Occorre denunciare quanto sta accadendo qui e far pressione per velocizzare le pratiche di registrazione. Le condizioni in cui sono costretti a stare in Dimitrovgrad i rifugiati violano i più basilari diritti umani, i servizi offerti dal campo sono pochi e scadenti e il controllo della polizia oppressivo e le pratiche di registrazione troppo lente.

Inoltre per i ragazzi del campo Dimitrovgrad è il primo punto d’approdo dopo esser transitati in Bulgaria, o meglio detto l’inferno dei rifugiati, dove sono stati sottoposti a detenzioni di alcuni giorni e abusi da parte della polizia bulgara, oltre ad aver percorso il territorio quasi esclusivamente a piedi camminando per giorni e notti senza mangiare nulla trascinati dai trafficanti che a volte li costringono a stare stipati in stanze non grandi abbastanza (un ragazzo ci mostra una foto di una stanza dove erano costrette a stare con lui altre 40 persone una ammassata sull’altra). A maggior ragione meritano di essere trattati con dignità e non in questo modo, sul loro corpo hanno i segni delle percosse e i graffi delle camminate nei boschi. Sono i figli di un dio minore di questo sistema d’accoglienza europeo che fa acqua da tutte le parti e che sta mietendo vittime la politica discriminatoria dei respingimenti dei migranti economici e che complica dannatamente le cose anche a loro.

La situazione è molto deprimente qui e la rabbia difficile da controllare, spero domani di poter raccontare qualche bella storia dei ragazzi che ottiengono il documento. Abbiamo bisogno sia noi che soprattutto loro, di un sorriso, qui nel freddo di Dimitrovgrad.

(7 – continua)