Pasolini, corpi senza eresia

2 novembre 2015 | 15:28
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Pasolini, corpi senza eresia

Messa in scena di forte impatto visivo, ma la musica predomina sulla poesia

REGGIO EMILIA – Una borgata romana, ghiaia, polvere, copertoni, detriti e desolazione e i ragazzi “di vita”, protagonisti assoluti di questa nuovissima messa in scena di Marco Baliani dedicata al grande Pasolini. I corpi giovani e innocenti si muovono in questo spazio degradato, giocano, si avvinghiano, poco sanno della crudeltà della vita, ma già ne conoscono i sapori primordiali, la violenza, la malizia.

L’atmosfera si spezza con l’ingresso del poeta, nella doppia veste di attore e tenore che osserva, predica, lamenta la sua esistenza eretica fino alla morte.
In nove quadri il regista ripercorre quelle che per lui sono le tappe salienti della storia pasoliniana, inserendo nella narrazione artistica le tre figure materne per eccellenza: Medea, la madre crudele, Giocasta, quella incestuosa e sul finale la Mater dolorosa sul corpo martoriato del figlio ucciso.

La messa in scena è potente, di forte impatto visivo e le scene corali sono la parte migliore dello spettacolo. Il poeta-attore Marco Manchisi incarna bene la personalità di Pasolini, così come il soprano Cristina Zavalloni quella della “Madre” in tutte le sue forme.

La musica ben orchestrata da Mauro Montalbetti predomina forse troppo sulla parte poetica e corporea, il Pasolini politico non viene fuori, né si approfondisce quell’eresia citata nel titolo. Se di corpi eretici parliamo, allora vogliamo di più, vogliamo vedere il dolore, la passione, la sopraffazione, vogliamo sentire i corpi parlare, smembrarsi, addentrarsi in quella parte primordiale di ognuno di noi come Pasolini sapeva fare.