Il vescovo: “Gli immigrati rispettino la nostra cultura”

24 novembre 2015 | 11:41
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Il vescovo: “Gli immigrati rispettino la nostra cultura”

Monsignor Camisasca stamattina in San Prospero: “Accogliere l’altro non vuol dire rinunciare ai propri valori. Non possiamo evitare la vigilanza nell’accogliere perché la sicurezza delle nostre città sia garantita per tutti”

REGGIO EMILIA – “Accogliere l’altro non vuol dire rinunciare ai propri valori”. E ancora: “Dobbiamo chiedere agli immigrati di imparare la nostra lingua, di conoscere le linee essenziali della nostra storia e rispettare la nostra cultura”. Infine: “Non possiamo evitare la vigilanza nell’accogliere perché la sicurezza delle nostre città sia garantita per tutti”. Sono questi i punti salienti dell’omelia, dedicata al tema dell’incontro, che il vescovo Massimo Camisasca ha letto oggi in San Prospero per la festa del patrono.

Ha detto Camisasca: “Dagli anni Novanta, dalla fine della guerra fredda, stiamo assistendo a vaste migrazioni di popoli. Il fenomeno dell’immigrazione interessa da tempo tutta l’Europa e anche il nostro Paese, che è geograficamente come una grande nave protesa verso il Mediterraneo, mare centrale delle migrazioni, dall’Africa e dall’Oriente verso l’Europa. L’Italia ha mostrato in tante occasioni la sua grande capacità di accoglienza. Rari sono stati i casi di insofferenza o di rifiuto. Le Diocesi, soprattutto attraverso la Caritas, danno un contributo non solo a realizzare luoghi di accoglienza, ma anche a creare una cultura dell’incontro verso chi arriva da un mondo sconosciuto, parla spesso una lingua che in pochissimi comprendono e a sua volta è a disagio verso uno stile di vita a lui estraneo e che talvolta disapprova”.

Secondo Camisasca “stiamo assistendo a una trasformazione epocale delle nostre città. Cosa offriamo e cosa chiediamo a chi, fuggendo da Paesi lontani, verso cui probabilmente non tornerà più, decide di stanziarsi nelle nostre terre?”.

Fa notare il vescovo: “Abbiamo il dovere di accogliere coloro a cui ragionevolmente pensiamo di poter offrire una vita dignitosa. Nello stesso tempo dobbiamo chiedere loro di imparare la nostra lingua, di conoscere le linee essenziali della nostra storia e rispettare la nostra cultura. Se vogliamo porre le premesse di una vera integrazione, che avrà bisogno di molti anni per poter avvenire, non possiamo evitare di chiedere e di offrire, non possiamo evitare la vigilanza nell’accogliere perché la sicurezza delle nostre città sia garantita per tutti”.

E aggiunge: “Non dobbiamo poi dimenticare che la strada fondamentale di una convivenza sana e fruttuosa è la conoscenza personale. È necessario creare luoghi di incontro e conoscenza reciproca, luoghi in cui narrare la propria esperienza dell’umano, della vita e della morte, della gioia e del dolore, della nascita, del lavoro, le ragioni della propria speranza. Tutto ciò deve avvenire con molta pazienza e con molto rispetto, ma anche nella consapevolezza che esiste una profonda comunanza tra gli uomini, una segreta, sotterranea comunicazione relativa ai desideri e alle esigenze fondamentali. Quanto ho detto finora esprime le ragioni umane, condivisibili da tutti gli uomini e le donne indipendentemente dalla loro fede o dalla loro appartenenza culturale, politica e sociale”.

Conclude il vescovo: “Il vero problema di oggi nell’incontro con le culture e le civiltà che ci raggiungono attraverso i nuovi flussi migratori, sta nella debolezza della nostra identità e nell’ignoranza della storia. In una mancanza di fede e quindi di ragioni vere di incontro con l’altro. Sta in un equivoco di fondo a causa del quale si pensa che per accogliere e rispettare l’altro occorra rinunciare ai valori su cui si fonda la nostra convivenza, occorra rinunciare a testimoniare ciò che abbiamo imparato e sperimentato essere bene e ciò che abbiamo visto essere male. Soltanto vivendo un’identità chiara e definita è possibile accogliere e confrontarsi seriamente con un altro”.