Gli imam: “Un patto con lo Stato per combattere il terrorismo”

17 novembre 2015 | 11:57
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Gli imam: “Un patto con lo Stato per combattere il terrorismo”

Sharif Lorenzini, portavoce del Consiglio islamico supremo dei musulmani in Italia recentemente costituitosi a Reggio, fa questa proposta e dice: “Non dobbiamo avere paura. C’è una mano che manovra l’Isis e non bisogna cadere nella trappola dell’odio”

REGGIO EMILIA – “Un concordato con lo Stato italiano per migliorare i rapporti con la religione islamica e per combattere insieme il terrorismo. Il nostro appello alle autorità italiane è di incontrarci e aprire dei tavoli per affrontare questa emergenza con progetti mirati di carattere culturale. Oltre a questo servono comitati civici di controllo delle comunità stesse. A tutela di tutti i cittadini”.

Sharif Lorenzini, barese, nato in Iraq ma figlio adottivo di una famiglia italiana, portavoce del Consiglio islamico supremo dei musulmani in Italia, fa questa proposta che è figlia della recente costituzione, a Reggio Emilia, del Consiglio supremo islamico dei musulmani. Il Cismi, che avrà sede in via Bicetti de Buttinoni a Milano, si propone di “esercitare pressioni sul governo italiano per ottenere il riconoscimento della religione islamica come seconda comunità religiosa presente sul territorio italiano”.

Ideatore dell’iniziativa è l’imam predicatore Abu Omar al Sudani noto per aver condotto la prima trasmissione religiosa islamica in un’emittente televisiva privata in Italia. Manca infatti in Italia, a differenza di quanto avviene per altre confessioni religiose cristiane (avventisti, valdesi, gli ortodossi, i luterani), l’ebraismo, il buddismo e l’induismo, un’intesa con la religione islamica.

Perché vi siete riuniti proprio a Reggio Emilia?
Perché la vostra città rappresenta un’area di eccellenza in termini di integrazione fra la popolazione islamica e la cittadinanza. Una comunità integrata, che lavora ed esercita senza problemi la propria professione religiosa. L’abbiamo scelta per dare un segnale importante all’Italia.

E qual è questo segnale?
Dovevamo costituire il Consiglio islamico supremo dei musulmani per poter dare voce a un’attività di coordinamento fra i centri islamici, gli imam e i ministri di culto anche alla luce degli ultimi avvenimenti e per respingere ogni forma di attacco alla società civile che possa provenire dall’interno della comunità o da elementi estranei.

C’è una divisione, al vostro interno, anche qui a Reggio fra il Consiglio degli imam che fa capo all’Ucoii ed è vicino ai Fratelli musulmani e voi. Può spiegarci in cosa consiste?
Il Consiglio degli imam, appunto, fa capo all’Ucoii e raduna sotto il suo coordinamento alcuni centri islamici in Italia. E’ vicino ai Fratelli musulmani che sono presenti soprattutto in Egitto. Loro si riuniscono principalmente nella moschea di via Gioia. Il nuovo Cismi che abbiamo costituito (Consiglio islamico supremo dei musulmani in Italia) è diverso perché è più eterogeneo e non guarda solo all’aspetto di appartenenza culturale, ma è di più ampio respiro e raduna intorno a sé qualsiasi corrente di pensiero politico islamico. Noi ci riuniamo in quella di via Monari.

Quindi conferma una divisione?
No, in realtà questa non è una divisione, ma un ulteriore sforzo di coalizzare persone simili fra loro. La comunità islamica in Italia è nata, fin dagli anni Settanta, in modo discontinuo e frammentato ed è cresciuta, negli ultimi decenni, da 10mila persone a più di tre milioni di musulmani, forse anche cinque oggi. Quelli che sono più simili fra loro si sono un po’ messi insieme e quindi ci sono sigle diverse. Avviene anche con le associazioni cristiane.

Cosa chiedete esattamente?
Un concordato con lo Stato italiano per poter regolamentare le attività dei fedeli. In questo modo il governo potrebbe monitorare meglio le nostre attività: saprebbe chi sono i nostri ministri di culto e che sermoni fanno. Il concordato permetterebbe di censire i luoghi di culto e autorizzare la loro nascita. Oggi, invece, chiunque può aprire un centro islamico. Noi daremmo conto di tutto ciò che succede all’interno di questi centri, individuando gli estremisti e segnalandoli alle autorità competenti.

Ma su questo punto, l’altra organizzazione, il Consiglio degli imam, vicino ai Fratelli musulmani, è d’accordo?
Gli altri sono più che altro un Consiglio degli imam che mira a formare gli imam e a coordindare le loro attività. Dovrebbero limitarsi agli aspetti di culto. Il confronto, comunque, è aperto. Siamo lieti di aprirci a ogni tipo di discussione.

Come mai, secondo lei, lo Stato non ha ancora firmato nessun accordo con voi?
Ci stiamo proponendo adesso: il prossimo passaggio sarà quello di un incontro con le istituzioni.

Domenica eravate in piazza a Reggio per manifestare contro il terrorismo?
Sì, certo. C’eravamo.

Le voglio chiedere una cosa. Voi, giustamente, dite che quelli di Parigi non sono musulmani, ma assassini e che quello che hanno fatto non c’entra niente con l’Islam. Tuttavia uccidono in nome di Allah ed è indubitabile che non tutti i musulmani sono terroristi, ma è anche vero che molti terroristi sono musulmani. Come se lo spiega questo?
E’ un fenomeno che va studiato. Negli anni Settanta c’erano le Brigate rosse nel vostro paese, ma non tutti gli italiani erano terroristi. Però è anche vero che c’erano in quel periodo delle condizioni particolari che hanno partorito il terrorismo. Ecco, quello che sta succedendo oggi non ha a che fare né con l’Islam, né con la dottrina islamica.

Resta il fatto però che, oggi, molti terroristi sono musulmani
Secondo noi la causa principale di questo sono gli avvenimenti che stanno accadendo nel mondo. Le radici di questo fenomeno non si trovano in Europa, ma in Medioriente: negli scenari di guerra in Siria, Iraq e Afghanistan. Sono situazioni che esportano questa violenza grazie a persone che sono preda dell’ignoranza, della paura e della disperazione. E così cadono vittime di organizzazioni criminali, terroristi e di fanatici come l’Isis.

Non crede che una causa sia anche dovuta al fatto che, a differenza dell’Occidente, in molti paesi arabi manca una netta separazione fra politica e religione?
Noi che viviamo come musulmani in Occidente siamo assolutamente integrati con il sistema politico in cui viviamo. Il messaggio islamico integralista oggi non è applicato in quasi nessuno degli Stati arabi. Anzi, la stragrande maggioranza dei paesi musulmani sono laici: pensiamo a Siria, Egitto, Yemen. Perché in nessuno di questi c’è l’applicazione della religione in modo integrale. Spesso sono dittature laiche.

Sì, ma appena togli il dittatore torna l’integralismo, come è successo in Egitto
Lei allude ai Fratelli musulmani quando hanno vinto le elezioni in quel paese. Ma la loro è stata un’applicazione parziale della sharia: un copia e incolla, un puzzle realizzato male. E poi, scusi, ma chi ha fatto più morti: i Fratelli musulmani o Al Sisi che è un militare che ha riportato il Paese negli anni bui ammazzando trentamila persone nel giro di sei mesi? Se poi vogliamo dire che entrambi i sistemi sono sbagliati, su questo sono d’accordo.

Come spiega il fatto che i giovani musulmani della seconda e terza generazione cadono nell’integralismo, nonostante siano cresciuti nelle democrazie occidentali e siano cittadini francesi o inglesi?
Sono persone che abbracciano l’Islam senza conoscerlo, che hanno abbassato tutte le loro difese immunitarie e hanno deciso di farsi riscrivere mente e cuore da zero. Sono una tabula rasa. Il rischio è che, chi ci scrive sopra, sia un cattivo maestro e poi, quello che lui ti dice di fare, fai. C’è un decadimento abissale nella società islamica simile a quello di cui soffre l’Italia dove c’è un relativismo molto diffuso. E’ gente che non conosce bene il messaggio dell’Islam e quindi basta che cada in depressione, o veda la discriminazione sociale che subisce, e pensa di andare a combattere e riscattarsi con i terroristi. A formare i terroristi sono lo svantaggio sociale, l’essere a digiuno della vera fede, oltre a tutta una serie di strumentalizzazioni.

Strumentalizzazioni?
Quegli attentati, sicuramente fatti dall’Isis che però potrebbe essere stata manipolata, qualcuno li vede anche come una sorta di punizione. La Francia si è schierata in Siria contro gli interessi di Assad e di Israele e si è alleata implicitamente con Arabia Saudia e Qatar che vogliono eliminare il regime siriano. Chi resiste a questa decisione sono Stati Uniti, Israele e Russia.

E’ una tesi interessante, ma forse un po’ ardita. Non trova?
Per chi vive in mezzo a queste cose può essere una conclusione naturale di quello che sta accadendo: basta leggere le agenzie internazionali in arabo che parlano di queste cose. Noi crediamo che questi avvenimenti siano uno strumento per spostare l’opinione pubblica in una direzione precisa e fare passare nei parlamenti europei risoluzioni straordinarie. Non escludiamo che tra un po’ qualche Parlamento firmerà una missione militare da quelle parti.

Lei crede che un intervento militare internazionale in Siria contro l’Isis sia da escludere?
Rivolgo un appello alle istituzioni italiane di allontanarsi da ogni tentazione di andare con un’azione militare in quei luoghi che possa portare l’Italia in un’ennesima palude dove i nostri fratelli moriranno a migliaia.

Ma allora, lei come lo risvolerebbe il problema dell’Isis?
E’ di carattere culturale. Più importanza diamo loro, più facciamo il loro gioco e peggio è. Non dobbiamo avere paura. Dobbiamo avere sicurezza in noi stessi e sconfiggere questo male facendo educazione alla pace e alla convivenza. C’è una mano che manovra l’Isis e noi non dobbiamo cadere in questa trappola.