L’Abisso di Enìa in scena al teatro sociale di Gualtieri

18 settembre 2023 | 11:15
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L’Abisso di Enìa in scena al teatro sociale di Gualtieri

Domenica alle 18 la tragedia dei migranti che attraversano, rischiando la vita, il Mediterraneo in cerca di un futuro migliore o in fuga da guerre e dittature

GUALTIERI (Reggio Emilia) – La tragedia dei migranti che attraversano, rischiando la vita, il Mediterraneo in cerca di un futuro migliore o in fuga da guerre e dittature, va in scena domenica alle 18 al teatro sociale di Gualtieri.

Sul palco Davide Enìa con il suo “L’Abisso”, uno spettacolo teatrale dedicato a Mario Vighi, compianto capoufficio stampa de I Teatri di Reggio Emilia scomparso pochi anni fa. L’incasso della serata sarà devoluto in beneficenza a Ibby Italia (International Board on Books for Young people, Italia) che ha messo in piedi a Lampedusa il progetto “Silent books” nato per dotare l’isola di una biblioteca per i ragazzi e gli ospiti del centro di prima accoglienza.

L’Abisso, premio Ubu 2019 come “miglior nuovo testo italiano”, è una performance-testimonianza in cui Davide Enìa racconta la sua esperienza d’incontro con i migranti che è racchiusa in uno spettacolo, di cui Enia è autore, regista e attore e con cui ha incantato il pubblico dei più prestigiosi teatri italiani. Sul palco con lui le musiche originali eseguite dal vivo dalla doppia chitarra (acustica ed elettrica) di Giulio Barocchieri accompagnano uno straordinario flusso di emozioni.

La storia di Davide Enia, dopo quel primo sbarco, è ambientata a Lampedusa, isola in cui l’artista ha trascorso molto tempo per raccogliere testimonianze reali, per parlare con i pescatori, con il personale della Guardia Costiera, con i residenti e i medici, i volontari e i sommozzatori, per provare a comprendere fino in fondo e per riuscire a raccontare le drammatiche storie che sono confluite in questo straordinario spettacolo dal titolo l’Abisso.

Scrive Enìa: “Il primo sbarco l’ho visto a Lampedusa assieme a mio padre. Approdarono al molo in tantissimi, ragazzi e bambine, per lo più. Io ero senza parole. Era la Storia quella che ci era accaduta davanti. La Storia che si studia nei libri e che riempie le pellicole dei film e dei documentari. Ho trascorso molto tempo sull’isola per provare a costruire un dialogo con i testimoni diretti: i pescatori e il personale della Guardia Costiera, i residenti e i medici, i volontari e i sommozzatori. Rispetto al materiale che avevo precedentemente studiato, in quello che stavo reperendo di persona c’era una netta differenza: durante i nostri incontri si parlava in dialetto. Si nominavano i sentimenti e le angosce, le speranze e i traumi secondo la lingua della culla, usandone suoni e simboli. In più, ero in grado di comprendere i silenzi tra le sillabe, il vuoto improvviso che frantumava la frase consegnando il senso a una oltranza indicibile. In questa assenza di parole, in fondo, ci sono cresciuto. Nel Sud, lo sguardo e il gesto sono narrativi e, in Sicilia, “‘a megghiu parola è chìdda ca ‘un si dice”, la miglior parola è quella che non si pronuncia”.

Conclude Enìa: “Ne L’abisso si usano i linguaggi propri del teatro (il gesto, il canto, il cunto) per affrontare il mosaico di questo tempo presente. Quanto sta accadendo a Lampedusa non è soltanto il punto di incontro tra geografie e culture differenti. È per davvero un ponte tra periodi storici diversi, il mondo come l’abbiamo conosciuto fino a oggi e quello che potrà essere domani. Sta già cambiando tutto. E sta cambiando da più di un quarto di secolo”.