Politica e ‘ndrangheta, gli avvocati reggiani: “Ora indagate a sinistra”

3 aprile 2023 | 10:01
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Politica e ‘ndrangheta, gli avvocati reggiani: “Ora indagate a sinistra”

Il Consiglio dell’ordine: “Le rivelazioni di Roberto Pennisi non devono restare lettera morta”

REGGIO EMILIA – “Le notizie di questi giorni riportate dalla stampa nazionale e riferite alle rivelazioni che Roberto Pennisi, già pubblico ministero alla Dna a alla Dia di Bologna, avrebbe fatto riferimento ad indagini non svolte e volutamente omesse sui rapporti tra la politica locale ed esponenti della criminalità organizzata radicata nel territorio reggiano, non possono che provocare una forte reazione di sorpresa e motivata preoccupazione di cui l’ordine degli avvocati si sente doveroso interprete”.

Il documento del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Reggio Emilia, pubblicato sul sito istituzionale il 31 marzo, firmato dal presidente, l’avvocato Enrico Della Capanna, fa riferimento alle dichiarazioni dell’ex pubblico ministero (ora in pensione) della Direzione nazionale antimafia. Ai primi di marzo Pennisi, riferendosi alla sua breve esperienza bolognese, chiamato dall’ex procuratore capo Roberto Alfonso, aveva detto: “Il maxiprocesso Aemilia avrebbe dovuto investigare sui rapporti tra ’ndrangheta e politica”, facendo riferimento a una sua relazione rimasta nel cassetto.

Intervistato da Il Giornale, Pennisi disse: “Certi comportamenti del collega Mescolini (ex procuratore di Reggio) allora ritenni che fossero dovuti alla sua incapacità di comprendere. Col senno di poi, mi sono dato spiegazioni diverse”. Sulla lettera scritta da Pasquale Brescia, condannato per mafia, al sindaco Luca Vecchi, Pennisi aggiunse: “È stata letta come una minaccia. E invece il discorso non è così semplice: quella lettera è un segnale, l’indice di qualcosa che avrebbe potuto essere svelato e non è stato svelato perché si è scelto di non indagare”.

Per quella missiva nell’ottobre 2020 la Cassazione confermò la condanna di Brescia a 6 mesi per le minacce a Vecchi. Per Pennisi, queste e altre tracce andavano approfondite: “Secondo me verso Giovanni Paolo Bernini (ex presidente del Consiglio comunale di Parma e attuale responsabile Giustizia in Emilia-Romagna per Forza Italia, che venne coinvolto nel 2015 nell’indagine Aemilia e poi assolto) non c’erano elementi per chiedere la custodia in carcere. Mai e poi mai. Lo scrissi. Ma la mia applicazione a Bologna non fu rinnovata e la Procura chiese il suo arresto. Sulla richiesta la mia firma non c’è”.

Si deve anche aggiungere, per completezza di cronaca, che Bernini non fu l’unico politico di Forza Italia ad essere arrestato e a finire indagato nell’inchiesta di Aemilia. Stessa sorte toccò all’avvocato reggiano Giuseppe Pagliani che fu arrestato, imputato e poi fu assolto da tutte le accuse.

In seguito alle dichiarazioni di Pennisi il deputato di Fdi Gianluca Vinci e il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri (Fi), hanno presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia sull’inchiesta ‘Aemilia’ e sui rapporti tra politica e cosche in Emilia Romagna e nello specifico a Reggio.

C’è da dire che, riferendosi a Mescolini e Pennisi, Roberto Alfonso, capo della procura di Bologna e di quella antimafia dal 2009 al 2015, disse: “Escludo nella maniera più assoluta che i due fossero in contrasto per quanto riguarda la posizione di personaggi politici del centrosinistra. Sicuramente non furono in contrasto per l’iscrizione e le contestazioni nei confronti di Giovanni Paolo Bernini (esponente di Forza Italia, ex assessore comunale a Parma, ndr). Ero comunque io a dirigere la Procura e non avrei avuto alcun problema a indagare politici di centrosinistra”.

Ma ritorniamo al documento degli avvocati reggiani. Scrivono a proposito delle dichiarazioni di Pennisi: “Apprendere da siffatta autorevole fonte che le indagini più delicate che sono state condotte nel nostro territorio in tema di infiltrazioni mafiose risulterebbero viziate da mancate verifiche delle segnalazioni degli organi investigativi rispetto a soggetti appartenenti alle istituzioni e ad una parte del mondo politico, non può che provocare una reazione di cauto disappunto. Quanto si legge in questi giorni induce a una seria riflessione sulle cause di una simile violazione dei principi di imparzialità, autonomia e indipendenza della magistratura che debbono essere il fondamento della società civile”.

Concludono gli avvocati reggiani: “Il richiamo di cui si vuole essere portatori è dunque al massimo rispetto dei ruoli istituzionali e dei compiti previsti dalla legge nei delicatissimi settori delle indagini e del processo. L’ordine degli avvocati invoca autonomia, assenza di ogni sorta di condizionamento e rispetto delle regole. Ciò ad evitare che il sistema democratico, che si fonda sull’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, possa cedere il passo a pericolose deviazioni ed omissioni che contrastano, per definizione, con i principi di legalità e giustizia. Il consiglio dell’ordine degli avvocati auspica che le rivelazioni di Pennisi non restino lettera morta e che inducano a fare chiarezza affinché ogni dubbio possa essere opportunamente fugato”.