I manifesti da rubare che raccontano le storie di chi “non esiste”

14 gennaio 2019 | 18:53
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I manifesti da rubare che raccontano le storie di chi “non esiste”

Il collettivo “Manonesiste” ha disseminato per la città i poster che raccontano la storia di chi vive alle Ex Reggiane

REGGIO EMILIA – Sulle mura delle citta’ appaiono poster raffiguranti il viso di un centravanti, un carpentiere e un sindaco. Ma non sono personaggi famosi, anzi e’ come se non esistessero: infatti, vivono “dimenticati, ai margini della societa’”. E’ quello che sta succedendo, da dicembre, a Reggio Emilia dove vengono affissi un po’ ovunque manifesti che ritraggono in primo piano una persona, descritta solo da un aggettivo-etichetta.

Per saperne di piu’ bisogna staccare la locandina, messa li’ proprio per essere “rubata” e portata a casa, e leggere le indicazioni sul retro che rimandano a un blog e una pagina Instagram. Solo cosi’ si abbina una storia a un volto, grazie all’opera di “Manonesiste” che ha ricostruito le loro vicende. A disegnare i manifesti e’ invece il CollettivoFx, famoso nel mondo della street art. Insieme, ‘parlano’ di un centinaio di persone che ‘abita’ gli spazi lasciati abbondati delle ex Officine Reggiane, a Reggio Emilia.

Da alcuni anni, infatti, quell’ex Officina ferroviaria ‘ospita’ “persone in condizione di poverta’ estrema e abbandonate a loro stesse”, racconta alla ‘Dire’ una rappresentante di Manonesiste. “Vogliamo raccontare questa situazione, spiegare che a Reggio ci sono persone semplicemente povere, senza voler fare di tutta l’erba un fascio”, continua. Il calciatore, il sindaco e il carpentiere sono solo alcune delle persone che “hanno avuto un po’ piu’ sfortuna delle altre”.

Tebogo (nome di fantasia, ndr) e’ arrivato dalla Nigeria nel 2000 per inseguire il suo sogno: veder giocare Taribo West, il “piu’ grande calciatore nigeriano di tutti i tempi”, allo stadio di San Siro e trovare una squadra in Italia. Ma oggi e’ troppo vecchio e “fatico a trovare un posto nel mondo. Vivo alle Reggiane, assieme a persone nella mia stessa condizione”, scrive il suo Io narrante nel blog.

Mothusi invece, e’ arrivato a Reggio Emilia dopo aver girato il mondo pilotando navi di container. Ma oltre ai paesi, “lunga e’ anche la lista delle aziende per cui ha lavorato, un su e giu’ lungo la triste storia recente di cooperative fallite e di licenziamenti di massa”. Da oltre un anno vive alle Reggiane, nella sua “stanza accatastata” ed e’ li’ che tutti lo chiamano “il sindaco”. In America li chiamano ‘dreamers’, i sognatori, quelle persone che per inseguire un sogno farebbero di tutto, anche lasciare il proprio paese.

“In un momento storico in cui la violenza, anche quella della comunicazione, si concentra tutta verso le persone piu’ in difficolta’, siano stranieri o semplicemente poveri, stiamo cercando di proporre un altro tipo di narrazione attraverso l’arte”, spiega Manonesiste. Anche il nome dell’iniziativa non e’ casuale, e’ una doppia lettura.
Prima di tutto “quelle che non esistono sono le persone che vivono alle Officine, ma siccome nessuno si occupa di loro e’ come se il vento che sta soffiando sulla societa’ di oggi li spinga sempre piu’ ai margini”.

In piu’, “ma non puo’ esistere che a Reggio Emilia, citta’ che e’ sempre stata attenta ad aiutare gli ultimi, adesso ci sia questa situazione di indifferenza”. Pochissimi infatti, ne parlano, e chi lo fa pensa “che la’ ci sia il Bronx”, conclude la rappresentante annunciando che il gruppo continuera’ a ‘tappezzare’ la citta’ con le storie di queste persone che vivono alle officine reggiane.