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Morello: “Che rabbia non far parte dello staff della Reggiana”

23 maggio 2018 | 07:18
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Morello: “Che rabbia non far parte dello staff della Reggiana”

Intervista a uno dei pilastri della Reggiana che fu: “A fine maggio apro i battenti della mia scuola calcio al centro sportivo della A.S.D. Masone”

QUATTRO CASTELLA (Reggio Emilia) – Alzi la mano chi non conosce Dario Morello e chi lo fa, sicuramente non è di Reggio Emilia. Un pilastro, una bandiera, un ambasciatore della Reggiana. Colui che ha creato “Reggiana Forever” con un unico scopo, far rivivere la grande storia granata.

Dario, come ha vissuto la Reggiana stando dentro al campo e come la vive oggi dietro le quinte?
Dentro al campo l’ho vissuta fortunatamente da protagonista e con delle ottime annate. Approdai a Reggio Emilia negli anni ’90 dall’Inter. Ero molto giovane, la carta d’identità riportava come dato 22 anni e… trovai una città, una società, un insieme unico dove si lavorava in modo molto sereno, con la vicinanza dei tifosi e senza l’esasperazione di dover a tutti i costi vincere. Arrivare in una piazza importante senza la pressione di dover dimostrare di essere un campione è, a mio avviso, il modo migliore per far crescere i giovani. A Reggio Emilia sono giunti molti giocatori all’apice o alla fine della carriera. Questa città mi è entrata sin da subito nel cuore. Personalmente ho vissuto gli anni d’oro di questa società. Dal di fuori, per l’amore e per l’attaccamento che ho avuto e tuttora nutro per la piazza, per la maglia, la vivo male come qualsiasi tifoso che non vede questa squadra emergere e ritornare nel calcio che conta, come è giusto che sia per la Magica Regia.

Come giocatore ha dato tanto alla società granata. Si sente ripagato in egual misura?
Purtroppo no. Prova a pensare la rabbia che devo nascondere da vent’anni per non far parte dello staff della Reggiana. Ho anche costretto mia moglie a rinunciare al mare che ama tanto, per rimanere a Reggio Emilia con la speranza di fare qualcosa. Ad esempio, se io fossi il presidente della Reggiana, la prima persona che contatterei è Fernando De Napoli. “Nando” ha fatto la storia del calcio italiano e lo vedrei bene nel ruolo di vice presidente onorario. Certo, avrei dovuto prendere decisioni diverse e pensare di più alla famiglia, ma le mie scelte sono nate dall’amore per la Reggiana. Quell’amore che mi ha fatto sperare in Mike Piazza e nel suo voler far bene. E’ solo un mio parere… inoltre ritengo che l’aiuto dei tifosi possa essere utile nella nomina di chi possa essere un pilastro di questa squadra. Lo ripeto, io ho scelto di rimanere a Reggio Emilia perché ci sto bene e spero sempre di poter lavorare per la Reggiana alle quale ho dato e dalla quale ho ricevuto.

Ha avuto la possibilità di entrare a far parte della squadra?
Vi è stata una possibilità l’estate scorsa, ma poi è successo tutto ciò che è successo e da lì è cambiato tutto. Purtroppo molto spesso chi ha idee buone viene lasciato in disparte. Naturalmente noi veterani non forziamo nessuno, aspettiamo che qualcuno ci chiami. A noi anziani piacerebbe essere in contatto diretto con i giocatori attuali. Noi seguiamo la Reggiana, noi siamo con loro. Michele Malpeli, attuale team manager, è stato mio compagno in campo ed è un ragazzo che non cede mai. Ha saputo trasmettere ai giocatori attuali la voglia di non mollare e sono convinto che, coinvolgere altri ex veterani, potrebbe caricare ulteriormente i giocatori. Ma anche se è vero che chi ha giocato, non per questo, ha un diritto automatico di entrare in una società sportiva; oltre al sottoscritto vi sono tanti altri ex compagni d’avventura che possono dare il loro contributo. I grandi campioni della Reggiana bisogna farli conoscere ai bambini, richiamando la storia della squadra. La storia va rivissuta. Tutti gli ex componenti sono ambasciatori della Reggiana, ma devono essere coinvolti nella società non messi da parte. Quasi tutte le società non dimenticano la storia, Reggio spesso sì. “Beppe” Alessi, grande ex capitano della Regia, qualcuno se l’è già scordato.

Ma di lei si ricordano…
Sì, ed è una soddisfazione quando, ogni tanto, un bambino mi ferma perché o l’ho allenato da piccolo, o sa chi sono perché i suoi genitori glielo hanno raccontato. Sono spesso tifosi che vivono di ricordi e hanno vissuto con noi una pagina bella della Reggiana e si augurano che quelle pagine vengano riscritte. I veri supporter vivono la società, sono vicini alla squadra e sperano che con l’attuale presidente si arrivi al successo. Io, per questa squadra, scenderei in campo con il ginocchio rotto, ma devo dire che anche i giocatori attuali non si risparmiano. Hanno capito cosa significa indossare questa maglia e, dopo un ventennio di purgatorio, ritornare in B sarebbe un trionfo. Il tifoso granata ti supporta sempre, nel bene e nel male. E’ vero, siamo partiti male ad inizio stagione, ma siamo ancora li a combattere per un sogno.

Curiosità, in Scozia ha indossato il kilt?
Preferisco i pantaloncini corti. La militanza all’estero è durata una sola settimana e per la precisione nello Dundee United. Benché il periodo di permanenza sia stato brevissimo, ho tutt’oggi ricordi positivi. Si arrivava allo stadio in macchina, tifosi e giocatori entravano insieme all’interno dello stadio poi le strade si separavano chi verso gli spogliatoi, chi verso gli spalti. Al termine della partita vincitori e vinti si radunavano nella medesima trattoria per ritemprare l’organismo. Alla faccia di chi sostiene che il calcio sia uno sport violento. Ma… lasciamelo dire… la Reggiana e il Mirabello sono al di sopra di ogni cosa. Mi divertivano i tifosi appollaiati ai balconi degli edifici limitrofi o a alle finestre dell’hotel Europa.

Le capita di riavvolgere il nastro del suo percorso di vita?
Tutti i giorni. Ognuno di noi penso giri lo sguardo indietro per rivedere quello che è stato fatto, rivivendo gli errori e cercando di non ripeterli. La vita è questa. Il mio scopo è trasmettere qualcosa di positivo a chi mi circonda, soprattutto a mio figlio… gli sto addosso e al contempo lo lascio andare. Io sono un “dannato” testone e per capire determinate cose ho dovuto sbattere la testa più volte contro il muro, una cosa è certa: per la mia famiglia ci sono e ci sarò sempre.

Cosa si aspetta in futuro?
Il mio futuro ha un nome: “A.S.D. Dario Morello Football School”. Mi appresto a intraprendere una nuova avventura supportato da mio figlio Simone e da altri tre fedelissimi amici; a fine maggio apro i battenti della mia scuola calcio al centro sportivo della A.S.D. Masone Calcio. Il vero successo è insegnare il gioco del calcio ai ragazzi per educarli alla vita e sono consapevole che non è cosa semplice, ma ci provo. Ai genitori mi permetto di dare un solo consiglio: “Non obbligate i vostri figli a raggiungere un sogno che in primis voi non siete riusciti ad agguantare, supportateli a emozionarsi con questo sport”. Inoltre continuo ad essere il cuore pulsante di “Reggiana Forever”, voglio che la storia della Reggiana venga trasmessa ai bambini. Il prossimo appuntamento è il quadrangolare ”Primo Trofeo Single Bell” fissato per sabato 9 giugno a Sasso Marconi.

Come si spiega il fenomeno dei costanti decessi in campo?
Quando muore uno sportivo viene subito spontaneo pensare a quella brutta parola “doping” o ad un allenamento non corretto, o allo stress dovuto a troppe competizioni e gare. Ma nella realtà, nella normale vita di tutti, a quanti casi di morte assistiamo giornalmente? Tumori, arresti cardiaci, ecc… fanno parte della quotidianità. Non dobbiamo immaginare che il mondo dello sport sia una realtà a parte o che un’assistenza medica continua sia di per sé garanzia assoluta di una lunga vita. Il nostro corpo è una macchina imperfetta, può dispiacere, ma è così.

Dulcis in fundo, due parole inerenti all’esclusione della Nazionale dal mondiale
In Italia, purtroppo, alle giovani leve non è stata data e tuttora non si dà fiducia, lo spazio per poter esprimere le proprie qualità è venuto a mancare. Dopo la conquista del mondiale, risalente ormai al lontano 2006, era necessario ricreare un ciclo, invece i club di maggior risonanza hanno puntato purtroppo ancora una volta sugli stranieri. Juventus, Milan, Inter che ambiscono a traguardi prestigiosi, anziché spingersi alla ricerca di nuovi talenti italiani, pur di agguantare obiettivi importanti ricercano il cosiddétto “giocatore già pronto” il quale non necessita di insegnamenti tecnico/tattici ed è fisicamente strutturato. Tutt’altra storia ai miei tempi, ai ragazzi si insegnava a giocare a calcio nel vero senso della parola e il fisico non era una priorità. Quando ero alla Reggiana si trascorreva un mese in ritiro e ognuno di noi la famiglia la vedeva una volta a settimana in modo da prepararsi al meglio a competizioni come Campionato, Coppa Italia. Nel momento in cui una società sceglieva un allenatore iniziava con quest’ultimo un lungo sodalizio consentendogli di creare nell’arco di tre/quattro anni un gruppo compatto capace di arrivare in alto. Ora il mondo è cambiato… spazio ai pre-ritiri in Sardegna a Miami, tanto per citare alcune delle località più gettonate, in compagnia dei parenti stretti, poi tutti in ritiro dove sia allenatori sia giocatori sono su un continuo banco di prova. Dalle prime amichevoli stagionali puoi essere già “fatto fuori”. Un modo di agire che non condivido.