Pas Dosè, dove la cucina del Piemonte sposa l’Emilia

17 febbraio 2018 | 11:25
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Pas Dosè, dove la cucina del Piemonte sposa l’Emilia

Un pasto piacevole con un conto finale più che onesto al ristorante di viale Isonzo

REGGIO EMILIA – “E fammela la recensione di un ristorante reggiano…Ti prego, fammela”. Intenerito al limite della commozione dalle insistenti suppliche del direttore, il vostro cronista nel fine settimana non è andato in giro per lidi foresti – cioè oltre Enza e oltre Secchia – e si è finalmente riattovagliato al desco di un’osteria reggiana. O meglio, di un’osteria situata sì nella città del Tricolore, che tuttavia non propone la cucina del nostro territorio. Non che lo scrivente non ami cappelletti, erbazzone, tortelli verdi e cotechino, anzi, i 25 lettori di Carlito Brigante conoscono bene la sua passione smodata per i piatti che preparavano le nonne reggiane.

Semplicemente, è giunta l’ora di tornare in un luogo che già ci aveva lasciato un buon ricordo alcuni mesi fa, in occasione della prima visita. Il “Pas Dosè” è in viale Isonzo, all’angolo di Viale Trieste. Fa cucina di tradizione ma non la nostra, bensì quella piemontese. Ha aperto i battenti poco più di un anno fa, grazie a Beppe Lo Giacco, un torinese che ha deciso di investire nella ristorazione a Reggio Emilia. E così dicendo vi abbiamo dato già tre-quattro buone notizie. Ovvero: 1) In città c’è qualcosa di nuovo 2) Spira una ventata di aria fresca e ha i buoni sapori del Piemonte, un territorio che vanta una ricchezza enogastronomica straordinaria, basti pensare che la sola provincia di Cuneo si appunta sul petto le medaglie di ben 14 stelle Michelin 3) Qualcuno che non è originario di Reggio Emilia ha deciso di investire di nuovo nel food a Reggio Emilia.

“Pas Dosè” ha due salette, per un totale di circa 40 sedute. I tavoli in legno non hanno tovaglie, in ossequio a una moda sempre più diffusa che da anni ha preso piede anche in molti ristoranti di grido. La saletta all’ingresso richiama decisamente l’atmosfera dei bistrot, quella interna, più raccolta e con i divanetti in pelle, fa venire alla mente certi eleganti caffè di fine Ottocento del centro di Torino, in zona Piazza San Carlo e dintorni, quelli dove era possibile incontrare anche Cavour e Nietzsche. Il menu si presenta bene: nella pagina di apertura troviamo un breve elenco con i principali fornitori della cucina. Tra le carni, spicca il nome della celebre Macelleria Brarda di Torino, nota per fare incetta di premi alla Fiera del Bue Grasso di Carrù. Ai fornelli c’è un giovane cuoco, Riccardo Guarino.

A raccogliere la nostra ordinazione viene Matteo Capiluppi, un reggiano che, malgrado la giovane età, ha già maturato qualche interessante esperienza, in particolare al “Rio Torbido”, il ristorante aperto qualche anno fa su un curvone della Statale 63 nei dintorni di Casina dalla giovane chef reggiana Silvia Bizzocchi, che purtroppo ha chiuso e non ha avuto la fortuna che avrebbe meritato. La prima volta al “Pas Dosè” avevamo orientato la nostra bevuta su una scelta classica, un Barbera della famiglia Ceretto. Questa volta nella carta dei vini troviamo diversi piccoli produttori piemontesi e qualche vera e propria chicca. La nostra scelta cade su un vino valdostano, il Fumin 2014 di Ottin.

Si tratta di un vino “eroico”, la vite cioè cresce in condizioni difficili, nel caso specifico su un terreno sabbioso in montagna a circa 700 metri di altezza, nei pressi della frazione di Porossan Neyves. La cantina di Elio e Nicolas Ottin è di culto, il loro Fumin in purezza, prodotto in 9.000 bottiglie all’anno, ha un bel colore rosso scuro e lascia nel palato un intenso profumo di more, con qualche sentore di legno. Capiluppi ci confida che va a caccia di vini simili nelle fiere dedicate ai Viticoltori indipendenti, consuetudine che apprezziamo fortemente, anche perchè sono le stesse manifestazioni che ogni tanto bazzica anche il vostro cronista. Veniamo accolti da un’amuse bouche offerta dalla cucina, una delicata cialda di pasta fillo con cavolo rosso e mascarpone alle erbe.

Tagliolini al ragù di Fassona piemontese con crema di nocciole delle Langhe

La cena prosegue con piatti più robusti, ma lasciamo a una successiva visita le cruditè di carne e la raclette, il formaggio fuso del Canton Vallese che al Pas Dosè offrono insieme ai salumi dell’Emilia. Per primi prendiamo i tagliolini al ragù di Fassona piemontese, ingentiliti da una crema di nocciole delle Langhe, e la vellutata di cavolfiore e patata con essenza di ribes nero, crema di burrata, cialde di pane croccante e timo fresco. Per secondi, ordiniamo la tagliata di scamone di Fassona, con insalatina di cavolo rosso all’aceto di mele, salsa cotta alla rapa rossa e senape extraforte di Digione, e la pancia di maiale cotta a bassa temperatura, purea di patate dolci, cialda al parmigiano reggiano ed erbe fresche.

La pancia di maiale è molto tenera, ha un filo di grasso che contribuisce a renderla più saporita. Particolare non secondario, questi sono anche gli unici due piatti di carne presenti in carta tra i secondi. Chiudiamo il piacevole pasto con due dessert, la cheesecake scomposta, ovvero mascarpone, frolla al miele e kiwi, e la crema allo zabaione e marsala con crumble alla nocciola delle Langhe. Li accompagniamo con un calice di Barolo chinato di Cocchi, storica distilleria astigiana, e con un bicchierino di una grappa di lambrusco modenese, le Streghe. Alla fine, il conto è più che onesto. Ce ne andiamo soddisfatti, probabilmente torneremo in primavera, o forse d’estate, quando i tavoli vengono disposti sull’aia, tra gli alberi del bel giardino.