“I soviet + l’elettricitá”, una catarsi collettiva riuscita solo a metà

9 dicembre 2017 | 08:42
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“I soviet + l’elettricitá”, una catarsi collettiva riuscita solo a metà

Di fronte a 1500 persone, al Palasport, l’ex Cccp non vuole o non può uccidere una volta per tutte il proprio genitore, il Moloch della Rivoluzione

REGGIO EMILIA – Per intuire cosa abbiano significato i Cccp di Ferretti e Zamboni (e Negri), è indispensabile contestualizzarli nel periodo in cui sono nati e si sono affermati. Nel settembre 1982 morì il presidente dell’Unione Sovietica Leonid Breznev. Negli ultimi mesi del mandato, le sue apparizioni in pubblico si erano drasticamente diradate. Le fonti ufficiali parlavano di un’indisposizione dovuta a un “raffreddore”.

In realtà Breznev era stato di fatto mummificato, ma, poiché i membri del Politburo non trovavano un accordo sul suo successore, l’anziano burocrate veniva esposto in rare circostanze ufficiali in condizioni tragicamente catatoniche, e l’annuncio della sua destituzione veniva continuamente rimandato. Il mondo “libero”, e pure quello della sinistra, speravano in una nomina che desse segnali di rinnovamento: al posto di Breznev arrivò invece Yuri Andropov, il capo del KGB, 68 anni, praticamente un ragazzino se paragonato agli altri gerontocrati del Cremlino.

Andropov si era distinto, nelle vesti di Ambasciatore dell’Urss a Budapest, nella repressione nel sangue dei moti ungheresi nel 1956, ed era considerato un riformatore, fiiguriamoci gli altri…Nel settembre 1983, pochi mesi dopo, un aereo di linea sudcoreano con 269 persone a bordo violò gli spazi aerei dell’Unione Sovietica. Non si é mai capito esattamente perché l’abbia fatto, ma i caccia sovietici arrivati ad intercettarlo non gradirono, e, su ordine diretto del Cremlino, decisero di abbatterlo a colpi di missile.

Gli Americani risposero schierando le testate nucleari Pershing in Europa, i Russi si ritirarono dalle trattative per il disarmo atomico. In Italia il clima politico non era molto più idilliaco. Al governo c’erano Craxi e la Dc, e Berlinguer aveva preso le distanze tardissimo dal decrepito socialismo realizzato sovietico, soltanto nel 1981 e molto blandamente, arrivando a dire con un arzigogolato e sofferto giro di parole, per altro del tutto privo di autoironia, che “il potere propulsivo della Rivoluzione d’Ottobre si era esaurito”.

Pochi mesi dopo l’abbattimento dell’aereo di linea sudcoreano, nel 1984, uscì “Ortodossia”, il primo mini-LP di un neonato e bizzarro gruppo punk reggiano che si faceva chiamare “Cccp”. Questo lungo preambolo serve a dire che gli ex Cccp, senza la minaccia incombente dell’Urss e senza i Cccp, hanno una forza corrosiva inevitabilmente assai depotenziata. Del resto, se “I Soviet + l’Elettricitá” viene incensato perfino dal giornale caro alla Curia e alla Confindustria, é segno che i tempi sono davvero cambiati, anche a Reggio Emilia.

I punk giovedì sera in centro storico dunque c’erano, ma al Palabigi sono rimasti nascosti, ben mimetizzati. Si sono invece fatti notare parecchio in piazza Martiri del 7 luglio, prima di essere scortati allo stadio a tifare Lione nel match di coppa Uefa contro l’Atalanta, dove non hanno mancato di danneggiare auto delle forze dell’ordine, picchiare tifosi bergamaschi e sparacchiare petardi e bottiglie a destra e a manca.

Un momento dello spettacolo

C’era quindi grande attesa per l’evento di Zamboni & friends in programma al Palabigi, giá andato in scena a Napoli, Bologna, Udine e Firenze, concepito con un obiettivo molto ambizioso: rievocare e sottrarre all’oblío il centenario della Rivoluzione d’Ottobre. Troppo ambizioso, forse, e infatti il “comizio-concerto” ha lasciato soddisfatto solo a metà il vostro cronista. Nella prima parte, introdotta da una performance poetica di Stefano Raspini, è stato il comizio a prevalere. Qui, a partire da Mandel’stam, uno dei tanti divorati dai lager sovietici, c’é stato spazio un po’ per tutto, dalla rievocazione della piccola Cavriago che invia aiuti e solidarietà ai Bolscevichi già agli inizi degli anni ’20, ai partigiani, alla citazione pasoliniana che rivendica la (presunta) superiorità morale dei comunisti italiani.

Ci sarebbe stato bene però anche Alexander Zinovev. Il momento più efficace si é consumato quando Zamboni, seduto su una sedia con le spalle rivolte alla platea, ha recitato una sorta di autocritica pubblica di fronte a un busto di cera di Lenin in procinto di liquefarsi come una candela. Lo spettacolo é decollato con la bellissima “Spia delle cooperative”, un brano che potrebbe tranquillamente stare in un album dei primi Cccp o in “Tabula Rasa Elettricata” dei Csi. Intensa e tutto sommato ben riuscita la parte centrale della serata. Qui l’ha fatta da protagonista l’esperienza da solista di Zamboni, con atmosfere che hanno ricordato l’album “Sorella sconfitta”: l’esecuzione di “Quasi Tutti”, tratto da “L’inerme é l’imbattibile”, é stata probabilmente il passaggio più coinvolgente dell’intero concerto.

Notevole la versione di “Morire”, brano in cui compaiono anche Marco Pantani e Cesare Pavese e prende il sopravvento un disagio esistenziale più ampio, capace di andare al di lá delle ossessioni politico-ideologiche incombenti sulla serata. Il resto è andato avanti senza grandi acuti. Angela Baraldi, un po’ impacciata nella sua uniforme simil-bolscevica, è apparsa meno energica che in altre circostanze. Max Collini è sembrato un po’ schiacciato dal peso del confronto impari con l’icona di Giovanni Lindo Ferretti. “Palazzo Masdoni” degli Offlaga si è inserita in questo contesto come un cameo estemporaneo, Collini se l’è cavata decisamente meglio in “Radio Kabul”.

Impressionante la pancia monumentale di Danilo Fatur, che ha volteggiato sul palco con movenze da pachiderma, o meglio da orso sovietico, tra falci e martelli di metallo e drappi rossi. Convincenti Simone Beneventi e Simone Filippi alle percussioni ed Erik Reverberi e Cristiano Roversi a chitarra e basso. Il concerto è proseguito in equilibrio precario tra una festa mesta, oppressa dal sapore dolciastro della sconfitta, e i classici dei Cccp, da “Live in Punkow” a “Huligani Dangereux”, fino a “A Ja Ljulblju SSSR”, versione punk dell’inno sovietico.

Fatur sul palco

La sensazione é che Zamboni non abbia voluto infierire troppo in questa operazione di catarsi collettiva da un senso di colpa inestricabile e quasi edipico, proprio quando invece sarebbe forse finalmente ora di uccidere una volta per tutte il proprio genitore, il Moloch della Rivoluzione. Il comizio musicale si è risolto in una sorta di ringraziamento alla città e al Palasport, dove oltre quarant’anni fa il sindaco Bonazzi annunciò, e tra il pubblico c’era anche un giovanissimo Massimo Zamboni, che “la guerra in Vietnam era finita e gli Americani avevano perso”.

La serata si é chiusa in gloria, con la platea finalmente in piedi a pogare grazie a un’ “Emilia Paranoica” ottimamente eseguita. L’appuntamento con gli ex Cccp é a brevissimo termine, al 13 dicembre: Massimo Zamboni reciterá a Massenzatico la predica di Natale di Prampolini, la stessa sera Giovanni Lindo Ferretti si esibirà nella chiesa di San Pietro, per le benemerite signore del Mire, in “Cronache filiali di madri e famiglie”. La recensione è finita, andate in pace.