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Aemilia, Sarcone e Bolognino: “Estranei a botte e droga in carcere”

20 novembre 2017 | 18:10
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Aemilia, Sarcone e Bolognino: “Estranei a botte e droga in carcere”

Dichiarazioni spontanee degli imputati: “Lo spesino era una brava persona, ci faceva anche le torte”

REGGIO EMILIA – Le accuse di essere i mandanti del pestaggio a un detenuto nel carcere di Bologna e di essere coinvolti nel traffico di droga e telefoni cellulari che – secondo il pentito Giuseppe Giglio – entravano e uscivano dalla struttura grazie a “secondini” compiacenti, sono respinte al mittente da Sergio Bolognino e Gianluigi Sarcone. I due imputati nel processo di ‘ndrangheta in corso a Reggio Emilia (Aemilia) lo sottolineano oggi nella sessione pomeridiana dell’udienza, rilasciando dichiarazioni spontanee sulla vicenda per cui sono stati raggiunti in carcere da un’ordinanza di custodia.

Con lo “spesino”, il detenuto campano addetto alla distribuzione dei viveri che avrebbe mancato di rispetto ai membri della cosca cutrese, Sarcone afferma di non avere mai avuto screzi: “Faceva ridere da noi, faceva dolci, torte, faceva torte per i miei figli fino a quando non e’ trasferito, ho fotografie fatte delle sue torte”. E sui motivi dell’aggressione, per Sarcone, sarebbe stata la stessa vittima a confidargli che “il motivo ufficiale era dovuto a problemi con i paesani suoi e per il fatto che faceva la grappa in cella dalla frutta e dai pelati settimanalmente e si ubriacava”.

Una circostanza cioe’, che creava “problemi” con gli agenti “e questa cosa comportava anche delle perquisizioni che poi si estendono per conseguenza a tutti”. Pero’, continua Sarcone, “ufficiosamente mi disse che sospettava che il pestaggio fosse dovuto a un aver parlato male di un suo paesano che era li’ entrambi co-imputati, della stessa associazione”.

Sarcone aggiunge infine: “Venerdi’ ho chiesto al carcere di essere isolato, isolamento diurno e notturno. Io non posso dipendere da queste dichiarazioni, mi devo isolare, non posso permettere strumentalizzazioni, assolutamente non lo posso permettere, che vengo utilizzato come biglietto di uscita o come scorciatoia che utilizzano il mio cognome soprattutto, per quanto riguarda eventuali indagini ai miei soci, fratelli. Io i miei fratelli li comandavo, li gestivo. Se dovessero esserci indagini nel periodo che erano con me, io saro’ parte civile in quel processo. Se mi convinceranno io stesso li denuncero'”.

Sulla stessa linea Sergio Bolognino, che secondo Giglio propose allo stesso pentito di faargli avere un cellulare in carcere: “Intanto non conoscevo nessuno di questi napoletani, non conosco le guardie penitenziarie, la vedo proprio assurda questa cosa, si vuole continuamente arrivare alla menzogna a tutti costi e non alla verita’”, ribatte Bolognino. Per quanto riguarda il pestaggio, aggiunge l’imputato, “mi reputo estraneo, conoscevo bene questo spesino, una brava persona, non so niente di quanto successo” (Fonte Dire).