“Migranti, tra Delrio e Minniti non finirà a tarallucci e vino”

9 agosto 2017 | 19:16
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“Migranti, tra Delrio e Minniti non finirà a tarallucci e vino”

“Per Delrio la priorità è salvare i migranti, per Minniti su tutto c’è la legge e se si fa un’eccezione crolla tutto il castello. Due ministri all’opposto”

REGGIO EMILIA – Mauro Del  Bue, ex deputato ed ex sottosegretario, è uno che di politica ne mastica dalla culla. Aggiungiamoci una felice penna e il mestoere di giornalista praticato da decenni, e allora si spiega perché è da leggere la sua analisi comparsa sul blog che tiene sull’Avanti on line dal titolo “Cosa c’è dietro il dissidio Delrio-Minniti”, relativo allo scontro tra i due ministri del governo Gentiloni sul tema migranti e che tiene banco sulle pagine di tutti i giornali nazionali.

Cominciamo dalle conclusioni, che Del Bue non lascia nel vago: ” Non credo che tutto finirà a tarallucci e vino. Per Delrio la priorità è salvare e accudire migranti anche a scapito delle norme italiane, per Minniti prima di tutto c’è la legge e se si fa un’eccezione crolla tutto il castello faticosamente costruito. Due ministri all’opposto. Uno votato alla solidarietà senza eccezione, che difende a spada tratta tutte le Ong, perché in quel mondo ci stanno le sue radici; l’altro votato al rispetto delle regole, fermamente convinto che la solidarietà indiscriminata e disordinata provochi danni e reazioni. L’uno e l’altro incollati in un partito senza identità e incapace di fare sintesi tra due culture così distanti”.

Un contrasto dunque non solo sul tema specifico ma su due dei modi di stare dentro al Pd, che per il socialista Del Bue non è stato in grado di fare sintesi. “Sul rapporto col mondo delle Ong, che poi significa anche relazione col cosiddetto volontariato cattolico, e sui modi coi quali lo Stato italiano intende muoversi per applicare le sue leggi, vi é un retroterra culturale e politico difficilmente conciliabile – si legge nella sua analisi -. E’ la differenza che passa tra dossettismo e lapirismo e sinistra tradizionale. Solo in parte interpretate da Margherita e Ds, ma oggi piuttosto mal conciliate nel Pd. Entrambi di una Reggio: Delrio reggiano, Minniti reggino, pare abbiano solo questo in comune”.

Ex vicesindaco del Delrio primo cittadino, di lui dice: “Non è mai stato democristiano, ha un trascorso giovanile ribelle, mi ha confessato che la prima volta che ha votato, alle elezioni europee del 1979, ha scelto il Psi. Poi la sua conversione al cattolicesimo politico, la sua militanza nel Partito popolare e nella Margherita, le sue radici nella parrocchia di San Pellegrino di Reggio e nelle Acli, la formazione dell’associazione Giorgio La Pira, e con essa i suoi rapporti con il Medioriente”. Poi racconta l’ingresso nella politica e nella amministrazione comunale: “Graziano è subentrato per il Pipì in Consiglio comunale a Reggio Emilia dopo le dimissioni di un esponente nominato in giunta nel 1999 e l’anno dopo é stato eletto consigliere regionale grazie a un accordo che gli ha permesso di battere il candidato ufficiale dell’on. Castagnetti…” fino a quando “diventa renziano puro dopo il sostegno che il sindaco di Firenze gli aveva assicurato contro il candidato di Bersani, Emiliano, alla presidenza dell’Anci. Di lì la sua scalata al governo, prima come ministro di Letta, poi come sottosegretario alla presidenza di Renzi e infine come ministro delle Infrastrutture nei governi Renzi e Gentiloni”.

Marco Minniti? “Lo conobbi quando era un giovane post comunista di Reggio Calabria. Erano i primi anni novanta ed era appena nato il Pds… Molto vicino a Massimo D’Alema, che poi abbandonò come tutti i dalemiani, ne divenne sottosegretario alla presidenza”. Il titolare del Viminale viene descritto come “uomo votato all’ordine e all’organizzazione, tanto da occuparsene anche a livello nazionale. Uomo di partito, di apparato, dotato di spiccate doti di lavoratore dal culo di ferro, Minniti non si preoccupò molto di essere eletto. Venne candidato e trombato fino al 2001… Continuò a occuparsi di organizzazione e di sicurezza. I suoi incarichi di partito e di governo lo confermano. Fu vice ministro della Difesa e degli Interni, poi con Letta e Renzi venne delegato ai Servizi, la delega più riservata e delicata. Una sorta di Ugo Pecchioli della nostra epoca, questo Minniti”.

Oggi Minniti “si ritrova non solo l’incarico di ministro degli Interni, ma quello, assai rilevante, di uomo simbolo di soluzioni popolari su un tema decisivo a livello elettorale: quello dell’immigrazione. I suoi primo atti sono stati generalmente apprezzati anche dall’opposizione. L’ultimo è quello di stendere un protocollo di intesa con le Ong, alcune sospettate di trafficare cogli scafisti…”.

Il conflitto? Nasce dal permesso dato da Delrio, attraverso la Guardia costiera,  al trasbordo di un’imbarcazione di “Medici senza frontiere” nel porto di Lampedusa, nonstante MsF non abbia firmato il protocollo. Di qui il rifiuto di Minniti di partecipare al Consiglio dei ministri, la minaccia di dimissioni, la successiva fiducia incassata da Gentiloni e l’inusuale manifestazione di stima del presidente Mattarella.

Del Bue è pessimista rispetto a quanto accade nel governo e nel Pd. Di certo gli annunci dei giorni scorsi sul fatto che la legislatura sarebbe da considerarsi finita dopo l’approvazione della Finanziaria, potrebbero togliere molte castagne dal fuoco. Il braccio di ferro tra anime e correnti si sposterebbe sul piano elettorale.