Già 700 firme per l’appello di Vecchi sulla dignità umana e gli “ultimi”

10 agosto 2017 | 14:23
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Già 700 firme per l’appello di Vecchi sulla dignità umana e gli “ultimi”

Un tam tam informale a sostegno di un documento scritto dal sindaco contro la deriva della paura, e per costruire una società che si fa davvero carico delle fragilità socali ed economiche

REGGIO EMILIA – Sono già 700 le firme che sono state raccolte con un tam tam informale a sostegno di un documento scritto dal sindaco di Reggio che affronta il tema delle fragilità sociali e del disagio degli ultimi. Esponenti del Pd, ma non solo, hanno sottoscritto il documento, che risale a una decina di giorni fa. Sono poi arrivati il sostegno di esponendi della cooperazione sociali, della sanità, della scuola… Nemmeno Luca Vecchi si aspettava che quello che è solo un documento preparatorio per un incontro nazionale dell’Anci potesse avere questo successo. Vecchi, delegato per il Welfare dell’Anci, descrive i mutamenti sociali e il progressivo impoverimento di fasce della popolazione. Afferma che questo ci interroga tutti, direttamente, perché dobbiamo decidere che futuro immaginiamo e vogliamo costruire. Si tratta di un documento pre-politico, perché non propone azioni o progetti: anzi dice chiaramente – che data la complessità del tema e dati i rischi di fare della sterile retorica -, nessuno ha la bacchetta magica. Però afferma che ognuno nel suo piccolo può fare qualcosa; piccoli tasselli che, messi insieme, potranno migliorare le condizioni degli ultimi. Per aderire si può inviare una mail a cittainclusiva@gmail.com specificando nome e cognome di chi aderisce. Ecco il testo.

(Fra.Chi)

ECCO IL TESTO SCRITTO DAL SINDACO LUCA VECCHI – “Quale spazio avranno nei prossimi anni, a Reggio Emilia e altrove, le persone fragili, tutte le persone fragili? La battaglia per estendere i diritti vale ancora la pena di essere combattuta? Come ci poniamo verso chi soffre, verso chi paga il prezzo delle diseguaglianze?

La questione è molto meno accademica di quanto non appaia e molto concreta proprio oggi, nel momento in cui il confronto su alcune centinaia di profughi sta rapidamente evolvendo, nell’analisi che emerge anche nella nostra terra: prende le mosse dall’argomento delle migrazioni e approda a valutazioni su dove collocare “i malati di mente” (citazione testuale).

Qua e là sulla rete non si risparmiano minori deceduti – come a Luzzara recentemente – singoli e famiglie in difficoltà economiche, mentre c’è chi vorrebbe che i servizi sanitari si rifiutassero di curare persone la cui documentazione non sia “perfettamente in regola”. I deboli e gli ultimi, dunque, come fonte di paura.
Ciò interroga ognuno di noi e la comunità, la nostra identità, e richiede lo sforzo di un dialogo laico e sincero, su che tipo di società immaginiamo e per quale futuro lavoriamo. Sta bene a tutti, come da alcuni viene propagandato orgogliosamente in questi contesti, il concetto secondo il quale “d’ora in poi chi ce la fa da solo bene, chiunque resti indietro deve essere escluso?”.

Non stupisce il fatto che un dibattito prima di tutto europeo e nazionale sia atterrato in chiave locale. È un’epoca di inquietudini profonde e di incertezze, da ascoltare con attenzione per provare a trovare le giuste soluzioni. Davanti alla constatazione che qui le cose funzionano meglio che altrove, che non vengono segnalati casi di malaffare o malagestione, si può e si deve peraltro avere il coraggio di testimoniare una situazione spesso taciuta o ignorata.

Esiste a Reggio un sistema che ha curato e dato risposta – servizi pubblici e terzo settore, volontariato e associazionismo, secondo le autonome competenze – ai bisogni dei più fragili e delle loro famiglie, di migliaia di persone.

Esperienze e realtà che hanno operato non solo verso gli stranieri (anzi, a scanso di strumentalizzazioni, in percentuale sono una netta minoranza), ma verso tantissimi altri: hanno intrapreso percorsi con ex tossicodipendenti ed ex alcolisti, adulti con problemi psicologici, donne fatte oggetto di persecuzioni o di tratta, vittime delle ludopatie, anziani in difficoltà, scoperto le potenzialità di persone con abilità diverse; aiutato poveri, ex carcerati, lavorato nell’ambito della cura educativa dei minori e delle fragilità familiari e genitoriali.
Ogni donna o uomo nella propria vita può attraversare momenti difficili, ha un parente o un amico che cade, che necessita di una mano. Basterebbe prestare un po’ di attenzione per scoprire quante storie di riscatto e di realizzazione si sono concretizzate, partendo da una condizione di debolezza.
Una rete ampissima s’è rimboccata le maniche, lontano dai riflettori, in modo solidale e serio, rispettoso delle norme e della dignità umana. E, anche davanti alla crisi economica, la nostra città e la nostra provincia hanno continuato a investire sul welfare, sulle persone: su tutte le persone “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, per citare l’art.3 della Costituzione.

Guardiamoci dentro e diciamoci la verità: è stato un errore? Noi pensiamo che non lo sia stato, e vogliamo continuare a restare umani. Se si può raggiungere un grado sempre più elevato di giustizia per la comunità è lavorando uniti in questa direzione, non uno per uno. Una società con più diseguaglianze è sempre una società con anche meno sicurezza.

Le comunità democratiche non devono smarrire il primato della razionalità che unitamente al senso di umanità è ciò che può accompagnarci a comprendere e affrontare fenomeni complessi, respingendo la deriva dell’odio e della paura e riscoprendo la strada della fiducia nella convivenza civile.
La retorica, nell’era contemporanea, sta tutta nel campo di quelli che raccontano di avere la soluzione di ogni problema “con un colpo di bacchetta magica”, e poi non si impegnano mai su nessun fronte. Tutti gli altri si sforzano di realizzare nel quotidiano una piccola cosa, e la sommatoria di queste azioni finirà per cambiare la storia della nostra generazione e il corso del nostro futuro”.