Acquisizioni e aziende in crisi, Reggio è terra di conquista

12 gennaio 2017 | 11:58
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Acquisizioni e aziende in crisi, Reggio è terra di conquista

Al di là dei vagheggiati tecnopoli, dei bilanci in rosso di Rei e dei seminari sulla Industria 4.0 e sulla meccatronica, sembra che, se si guarda ai fatti, ci sia da rimboccarsi le maniche parecchio per riportare la nostra economia ai fasti di un tempo

REGGIO EMILIA – La nostra provincia è sempre più terra di conquista, mentre le glorie delle famiglie, che hanno fatto grande la nostra provincia e hanno ricoperto e ricoprono tuttora ruoli importanti in enti ed associazione di categoria, sembrano un po’ offuscate. Le notizie degli ultimi giorni lo confermano. Il Banco Emiliano, di fatto, è stato salvato e incorporato dalla bolognese Emil Banca e non esiste più, l’azienda di trasporti Artoni è stata venduta alla Fercam di Bolzano. Ma se guardiamo ai mesi scorsi è lungo l’elenco di aziende eccellenti finite in mani straniere o di gruppi fuori dalla nostra provincia.

Lo sguardo, in questi tempi di crisi, è spesso andato al comparto edile del mondo cooperativo e, in effetti, la messa in liquidazione di Coopsette e le grosse difficoltà di Unieco stanno a testimoniare i problemi delle coop in questo settore. Ma non è che l’industria privata se la passi meglio.

Quello che stupisce, fra l’altro, è che le aziende vendute o in difficoltà appartengono a famiglie e a personaggi che hanno fatto la storia di Reggio e hanno ricoperto ruoli importanti in enti e associazioni di categoria. Partiamo da Anna Maria Artoni, ad di Artoni Trasporti, a lungo dirigente nazionale e regionale di Confindustria. Fra il 2013 e il 2014 la sua azienda ha perso oltre 50 milioni di euro. Il fatturato è calato sensibilmente e la Artoni è stata costretta a vendere ai bolzanesi di Fercam. Un pezzo di storia reggiana che se ne va con 600 dipendenti preoccupati per il loro futuro.

Poi c’è Stefano Landi, ex presidente di Confindustria reggiana e ora presidente della Camera di commercio. La sua Landi Renzo naviga in brutte acque. Tanto che al suo posto, come ad, è arrivato da Lampogas (azienda concorrente, ndr) Cristiano Musi che resterà ad di quella azienda. I primi nove mesi del 2016 per il gruppo di Corte Tegge hanno fatto segnare un rosso di 17,8 milioni di euro dopo anni di bilanci sempre in perdita. L’indebitamento è cresciuto di 28 milioni di euro negli ultimi nove mesi ed è a quota 87,1 milioni, rispetto a 78,3 milioni al 30 giugno 2016 e ai 59,5 milioni di euro al 31 dicembre 2015. La situazione è difficile e infatti recentemente Landi ha chiesto ai creditori di riscadenziare un’obbligazione.

Passiamo in casa di un’altra famiglia eccellente reggiana. Brevini, in evidente difficoltà, ha dovuto alzare bandiera bianca ed è stata acquistata dalla statunitense Dana. L’accordo prevede che Dana acquisti inizialmente l’80% delle quote di Brevini Power Transmission e di Brevini Fluid Power, con l’opzione di acquisto per il rimanente 20% delle quote entro il 2020.

L’elenco potrebbe essere piuttosto lungo e si potrebbero citare anche la Meta System, comprata dalla cinese Deren, la Cellular line, finita in mano al private equity L-Capital, nato come costola finanziaria del gruppo francese del lusso Lvmh e, andando più indietro, la Fantuzzi Reggiane e la Lombardini. E che dire di un altro feudo del mondo confindustriale sempre gestito da uomini dell’industria privata, ovvero la Manodori?

Il presidente dell’ente dal 2009 è Gianni Borghi, ai vertici del gruppo Lombardini per anni e presidente degli industriali di Reggio dal 2006 al 2010. Volete qualche cifra sulla Manodori? Ebbene dal 31 dicembre 2014 a marzo 2016, ovvero in poco meno di un anno e mezzo, il valore delle azioni Unicredit in pancia alla Manodori è calato del 36%, passando da quasi 92 milioni a 59,4 milioni. E la situazione negli ultimi mesi non è certo migliorata dato che il titolo della banca ha continuato a perdere terreno. Il patrimonio della Manodori, che appartiene ai reggiani, investito per lo più e inspiegabilmente in titoli Unicredit (attualmente costituiscono ben il 46% del patrimonio dell’ente ma in passato questa percentuale era anche più alta), è stato dilapidato, visto il crollo del titolo negli ultimi anni, da chi l’ha gestita. Difficilmente in Lombardini avrebbero perdonato una cosa del genere a Borghi.

Insomma, il panorama dell’industria reggiana non è che brilli, fra acquisizioni e aziende in crisi, negli ultimi tempi. Al di là dei vagheggiati tecnopoli, dei bilanci in rosso di Reggio Emilia Innovazione e dei seminari sulla Industria 4.0 e sulla meccatronica, sembra che, se si guarda ai fatti, ci sia da rimboccarsi le maniche parecchio per riportare la nostra economia ai fasti di un tempo.