House of Cards e la perdita dell’innocenza degli Usa

25 agosto 2016 | 18:18
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House of Cards e la perdita dell’innocenza degli Usa

Dibattito sul rapporto tra trasformazioni politiche, immaginari collettivi e comunicazione a Festareggio

REGGIO EMILIA – La perdita dell’innocenza del popolo americano, il lato maledetto del potere che richiama i drammi shakespeariani, ma anche lo smarrimento degli Usa che non sono più da tempo l’unica superpotenza mondiale. C’è un po’ di tutto questo, secondo i relatori di un interessante dibattito andato in scena ieri a Festareggio, in House of Cards, la serie televisiva che prende spunto dalle vicende del cattivissimo presidente degli Stati Uniti Frank Underwood, al secolo Kevin Spacey.

“House of Cards tra fiction e realtà” è stato un momento di approfondimento sul rapporto tra trasformazioni politiche, immaginari collettivi e comunicazione, con il contributo di Raffaella Baritono, professoressa associata di storia e politica degli Stati Uniti dell’Università di Bologna, dell’esperto di comunicazione politica Massimiliano Panarari dell’Università Luiss e di Massimo Scaglioni dell’Università Cattolica, storico dei media.

Un libro e una serie televisiva che ha affascinato anche il nostro premier Matteo Renzi, anche se, secondo la Baritono, “House of cards” “rappresenta la politica Usa e non quella italiana”. Per la professoressa bolognese “negli Usa c’è un forte contrappeso di poteri fra Congresso e presidente e anche Underwood è costretto a trattare. Questo nasce dal fatto che gli americani hanno paura del potere e lo considerano pericoloso e quindi devono sempre opporgli dei contrappesi”.

Panarari ricorda invece come la fascinazione di Renzi per “House of cards” nasce dal fatto che “Filippo Sensi (lo spin doctor di Renzi,ndr), ha scattato una foto un giorno, postando su Twitter la copertina del libro di Dobbs da cui è tratta la fiction facendo intuire che al premier piaceva”. Scaglioni sottolinea invece che “la politica non è mai stata così presente in televisione come ai tempi nostri, soprattutto con il political drama negli Usa” e sottolinea come sia sempre maggiore anche in Italia, in serie come Gomorra e Romanzo Criminale “la fascinazione per la rappresentazione del male in tv”.

E se volessimo trovare una power couple in Italia, come Frank e Claire, chi sarebbe? Per la Baritono da noi “non esiste un ruolo della first lady paragonabile a quello presente negli Usa” dato che “non c’è questa cultura da noi”. E aggiunge: “Là la moglie del presidente ha un ruolo importante nel cerimoniale che, con Hillary Clinton, si è esteso anche alla politica”.

Per Panarari invece, se vogliamo fare un paragone “una coppia del genere fu rappresentata in Inghilterra da Tony e Cherie Blair”. Scaglioni fa notare invece che “il libro nasce in Gran Bretagna dove la dimensione della power couple è assente” e che “l’idea geniale dello sceneggiatore Usa è di averla introdotta dopo”.

Ma in House of Cards ci sono anche un dichiarato machiavellismo e molti riferimenti a Shakespeare (soprattutto a Macbeth e a Riccardo III). Secondo la Baritono “la politica viene vista in House of cards come una grande messa in scena. Negli Usa c’è una forte paura del potere che viene visto come qualcosa di minaccioso che deve essere arginato dalla virtù del popolo. Aleggia sempre il fantasma del Watergate”.

Per Panarari invece “House of cards” “rappresenta la perdita dell’innocenza da parte degli Stati Uniti che parte, come ha detto Raffaella, dai tempi del Watergate e si ritrova anche nei fumetti di Batman e Superman. Una perdita dell’innocenza che si somma alla perdita di poteri di chi comanda (a favore della finanza e dell’economia) e che costringe i potenti alla annuncite e a potenziare la rappresentazione e lo story telling, anche grazie all’utilizzo dei social network, per costruire una realtà parallela e superare così l’incapacità di produrre veri cambiamenti. Il problema è che, ogni tanto, il sipario si strappa e arrivano personaggi come Salvini o Grillo o Trump a ricordarci che il re è nudo”.

Scaglioni invece ritiene che Shakespeare sia assolutamente presente nella fiction e che, soprattutto, si ritrova quando Underwood si rivolge direttamente allo spettatore, espediente tipico del teatro del grande drammaturgo elisabettiano. A questo proposito ha mandato in onda un filmato in cui Kevin Spacey, fra il serio e il faceto, svela a chi si rivolge quando parla al pubblico, ovvero a Donald Trump.

Infine una riflessione con la frase con cui si chiude l’ultima serie di House of Cards, con Underwood che, in difficoltà, pressato dalla stampa che sta pubblicando rivelazioni terribili su di lui, passa al contrattacco e dice: “Noi non subiamo il terrore, noi creiamo il terrore”. Secondo la Baritono “la politica è stata spesso paragonata alla guerra perché il politico ha sempre bisogno di crearsi il nemico. Il terrorismo permette di compattare un Paese, gli Usa, che sta andando in frantumi. E’ quello che sta facendo Trump che cerca di rimettere in piedi un paese in difficoltà non tanto dal punto di vista economico, ma culturale e che non è più al centro della storia”.

Panarari rimarca invece come “il terrorismo viene usato dalle elites per recuperare l’idea di una società unità che oggi, invece, è molto divisa, con grandi disuguaglianze contraddizioni”. Scaglioni fa notare che “l’ultima serie si chiude con questa ossessione della sicurezza e non sappiamo in che direzione andrà”.